Chi lascia la strada vecchia…

L’autunno è alle porte. L’ho già vissuto tante volte. È facile immaginarne i colori e gli umori.
La bassa novarese offre le prime foschie, che sanno ancora di funghi e già di muschio.
Nei pressi del centro, le persone attendono la cattiva stagione, le giornate corte e il nero delle caldarroste.
Penso alla fine di un bel libro e all’inizio di un nuovo copione, mentre spio il principio di questa malinconica stagione.

Oggi c’è un sole timido, timido come la morte che ho negli occhi.
Ti aspetto, mentre mastico gomme e pensieri più o meno opachi.

Arrivi.

Accidenti, sei sempre tu, questo lo devo ammettere. Il tuo viso è pulito, le tue labbra perfette, i tuoi occhi azzurri come quello strano cielo primaverile che vide il nostro primo bacio, qualche anno prima.

“Guida tu.”
“No, dai, guida tu.”
“Ok.”

Andiamo incontro al nostro destino, a circa novanta chilometri orari. Il mio sguardo è fisso, ho la gola secca e non dico una parola. Guardi la strada e con la coda dell’occhio guardi me.
Prendi una musicassetta e la spingi con dolcezza. Ti conosco. So che lo stai facendo per accarezzarmi, ma so anche che non ci riuscirai.

Samuele Bersani inizia a cantare una delle sue canzoni, una delle nostre canzoni.
Il mio sguardo è fisso, ho la gola secca e non dico una parola.

Mi guardi, rallenti, mi riguardi.
“Non te ne frega più niente.”

A quel punto ti chiedo di fermarti.
“Forse tu e io dobbiamo parlare.”

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