Ombre

Abito in questa città da pochissimo tempo, non ricordo esattamente dove si trovi casa mia e ho pure una dannata fretta di arrivarci.
Incrocio una signorina, la fermo con garbo e le chiedo indicazioni, dandole del lei.
Ringrazio, riprendo il cammino e sento un “Che carino”. O forse è un “Che buffo”.
Sorrido. La serata sarà interessante.

Poco più avanti non ci sei tu ad aspettarmi, ma un’altra ragazza.
Arriviamo sotto casa, salutiamo il portiere ficcanaso (sì, proprio come quelli dei film) e guadagniamo le scale.
“Ciao a tutti”. Anche oggi c’è una festa nell’appartamento.
Entriamo in camera. Le tende che danno sulla corte lasciano filtrare poca luce. Quella giusta.
Sarebbe un momento magico, se non fosse che ho in testa te, lei e il mio prossimo amore di frontiera.
Ah, adorabili e perduti vent’anni…

Parliamo del più e del meno, sorseggiando vino acerbo e fumando sigarette di contrabbando.
Il crepuscolo è arrivato e i suoi occhi verdi, adesso, sono più cupi, ma non meno intensi.

Le chiacchiere, complice un altro sorso di vino, si accendono e si fanno più maliziose, lei si sdraia sul letto e inizia a giocare con i bottoni della sua camicia. Poi con i miei.

Mi ritrovo, in quel preciso istante, ad affrontare il momento d’imbarazzo più alto della mia giovane vita: fidanzato, confuso e con l’ormone che sta facendo rafting dal cuore verso i pantaloni.
Lei tenta di risolvere sfoderando un “Che cosa ti aspetti adesso?” e io rimango impietrito.
Penso alla magia, alla poesia, alla costruzione del momento e a quanto poco ci voglia a fare cadere tutto.
Tuttavia, la carne risponde e nella stanza si manifesta la passione, seguendo, naturalmente, i romantici istinti di due giovani ventenni.

Si è fatto tardi.
“Devo scappare. Ci rivediamo presto?”
“Non credo sia una buona idea. Magari tra un anno.”
(E poi l’ho rivista dopo un anno, ma quella è un’altra storia.)

Fumo nervosamente, senza chiedermi che cosa cazzo stia combinando, perché so benissimo che cosa sto combinando.
Il telefono squilla.
“Ehi, mi stai chiamando da una cabina?!”
“Sì, sono in stazione.”
“Vengo a prenderti.”

I miei occhi parlano e tu sai ascoltarli benissimo.
“Che hai fatto?”
“Nulla. Andiamo a casa.”
Intanto, fuori e dentro, restano le ombre.

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