G.

Non so davvero che cosa ti sia passato per la testa, a parte il piombo.
Non mi interessa cercare una giustificazione, perché non voglio giustificarti.
So solo che sono rimasti in sospeso: un cd che non ti ho ancora fatto, una cena a base di bisonte, un concerto dei Litfiba e un giro in moto.

E adesso quelle cose resteranno in sospeso per sempre, perché tu hai deciso così.
Brutta testa di cazzo, non mi hai nemmeno lasciato il tempo per salutarti a modo, per fumare l’ultima sigaretta insieme.

Non serve piangere, lo so, ché nulla ti riporterà indietro.
Addio, G.

The curse of Ayman

Vieni a lavorare con noi. Walid parla bene di te.
Proviamo, dice quello. Proviamo, dico io.
Ok, non ci troviamo, ma per fortuna non lavori nella mia squadra.
Proviamo fuori, magari durante una serata tra amici. Magari senza pensare alle gerarchie, agli ordini, ai doveri.
No. Anche fuori da lì, è inutile, mi stai sul cazzo. E te lo dico, perché sono fatto così.

Esiste una cosa, tuttavia, sulla quale andiamo d’accordo: il cinema.
Non puoi saperlo, naturalmente, ma seguo i tuoi consigli fin dall’inizio dei nostri scambi. Perché non riesco a dirtelo? È poca cosa, certo, ma è pur sempre qualcosa.

Ti vedo sorridere un paio di volte. Ti vedo ridere, di gusto, una sola volta.
Non cerco mai una spiegazione al tuo atteggiamento strafottente, davvero, perché in fondo ognuno di noi è fatto in un certo modo, e vivi e lascia vivere, e tutte queste minchiate qui.
Walid non sta bene, lo ammorbi con la tua negatività, e riesci a trattare male una delle mie più care amiche.

A volte penso: “Ayman fuori da qui!” A volte: “Ma no, forse è meglio credere ai suoi alibi. In fondo è il suo primo lavoro, in fondo ha solo venticinque anni. Capirà. Crescerà. Imparerà.”

Ti mandano via, infine, perché alcuni colleghi sono esasperati e, non a torto, pensano che tu non sia in grado di sfruttare un’occasione, come invece ha fatto il tuo amico Walid.
Fine dei giochi.

Oggi, invece, voglio raccontarti che cosa è successo dopo.
Dopo la tua partenza, molte cose hanno smesso di funzionare. Abbiamo vissuto mesi allucinanti, alla ricerca delle cause di questo o quel disservizio. Abbiam più volte ripetuto, scherzando, che è stata la maledizione di Aymano ad averci colpito.
Ogni tanto ho chiesto di te a Walid.
Ho saputo che sei tornato in Tunisia e che qualche giorno fa sei morto in un incidente stradale.

Anima salva

Un paio di mesi fa pensavo al giorno della tua dipartita.
Ci pensavo perché era vicino il funesto anniversario.
Ci pensavo perché non ti conoscevo, ma quella sera lei, piangendo e raccontandomi a fatica di te, mi diede un pugno allo stomaco.
Ci pensavo perché ti dedicò una canzone che amo follemente.
Ci pensavo perché anche tu sei, ancora oggi, tra le persone alle quali ha dedicato un intero lavoro.
Ci pensavo perché, forse, senza la montagna e senza quella tristezza, le cose sarebbero andate un po’ meglio per tutti.

Eravamo legati entrambi ad una donna, per ragioni diverse, certo, ma pur sempre collegati da un invisibile filo.
E se quel filo adesso non c’è più, resta ancora una cosa a legarci: l’ineluttabilità del destino.

Stefano Lavori e l’Avvocato

E va bene: appresa la notizia della morte di Jobs, gli occhi sono diventati un po’ lucidi.

Non nascondo la mia stima nei confronti di un uomo che:
1) ha avuto un’idea (anche se è una mela stilizzata, con un morso stilizzato, ma è pur sempre un’idea)
2) ha vestito la sua idea in modo pazzesco, per vestire meglio se stesso e vendersi (e, detta proprio così, per fare il culo a tutti gli altri)
3) si è trovato proprio lì, nel posto giusto, anche se non sempre al momento giusto.
Già.

Qualche giorno fa, invece, il post di un Avvocato mi aveva letteralmente spezzato; ricordo bene le mie lacrime: naturali, fluide e vivaci; è stato un bel pianto.
Ho provato uno strano dolore per loro due; un dolore che conserverò a lungo (per tutta una serie di motivi, che non riesco a spiegare in modo limpido e razionale).

Ma oggi, dopo aver letto opinioni, commenti e messaggi folli (a proposito della morte di Jobs), mi chiedo: dove finisce la stima e dove inizia l’affetto delle persone? Perché il mio sentire non riesce a giustificare tutte quelle lacrime e quella disperazione? Perché sono infastidito?
No so davvero. Forse un i-qualcosa, un giorno, sarà in grado di fornirci un’esatta misura di quella distanza, di quel confine così giusto; forse un i-qualcosa, un giorno, ci dirà che è tutto normale, che è giusto essere sempre folli ed affamati, che questo è il mondo che abbiamo sempre sognato; con un cazzo di morso stilizzato, ma è pur sempre il mondo che abbiamo sognato.
(Quel giorno, però, porrò fine alla mia esistenza.)

Un abbraccio a Marco.

Testimoniare a tutti i costi

Ieri sera ripensavo a quanto mi abbia fatto male la visione del film “Ultimo tango a Parigi”.
Cose lontane, comunque.

Ci ripensavo perché Maria Schneider è passata a miglior vita.
E dunque pensavo a lei e pensavo ai fatti miei.
Scritto ciò.

Non spenderò mezza parola sulla sua figura, per motivi ovvi: non ne so un cazzo e non mi va di approfondire: sto bene così.

E però voglio lasciare un paio di collegamenti.
Della serie: c’è modo e modo.

Massantamadonna e questo mi piace di più

“Non è cosa, ma è come
è una questione di stile”

E poi, caro Uòlter, finisci sempre con l’indisporre l’avvocato. Eccheccazzo.

Testimoniare a tutti i costi

Ieri sera ripensavo a quanto mi abbia fatto male la visione del film “Ultimo tango a Parigi”.
Cose lontane, comunque.

Ci ripensavo perché Maria Schneider è passata a miglior vita.
E dunque pensavo a lei e pensavo ai fatti miei.
Scritto ciò.

Non spenderò mezza parola sulla sua figura, per motivi ovvi: non ne so un cazzo e non mi va di approfondire: sto bene così.

E però voglio lasciare un paio di collegamenti.
Della serie: c’è modo e modo.

Massantamadonna e questo mi piace di più

“Non è cosa, ma è come
è una questione di stile”

E poi, caro Uòlter, finisci sempre con l’indisporre l’avvocato. Eccheccazzo.