The curse of Ayman

Vieni a lavorare con noi. Walid parla bene di te.
Proviamo, dice quello. Proviamo, dico io.
Ok, non ci troviamo, ma per fortuna non lavori nella mia squadra.
Proviamo fuori, magari durante una serata tra amici. Magari senza pensare alle gerarchie, agli ordini, ai doveri.
No. Anche fuori da lì, è inutile, mi stai sul cazzo. E te lo dico, perché sono fatto così.

Esiste una cosa, tuttavia, sulla quale andiamo d’accordo: il cinema.
Non puoi saperlo, naturalmente, ma seguo i tuoi consigli fin dall’inizio dei nostri scambi. Perché non riesco a dirtelo? È poca cosa, certo, ma è pur sempre qualcosa.

Ti vedo sorridere un paio di volte. Ti vedo ridere, di gusto, una sola volta.
Non cerco mai una spiegazione al tuo atteggiamento strafottente, davvero, perché in fondo ognuno di noi è fatto in un certo modo, e vivi e lascia vivere, e tutte queste minchiate qui.
Walid non sta bene, lo ammorbi con la tua negatività, e riesci a trattare male una delle mie più care amiche.

A volte penso: “Ayman fuori da qui!” A volte: “Ma no, forse è meglio credere ai suoi alibi. In fondo è il suo primo lavoro, in fondo ha solo venticinque anni. Capirà. Crescerà. Imparerà.”

Ti mandano via, infine, perché alcuni colleghi sono esasperati e, non a torto, pensano che tu non sia in grado di sfruttare un’occasione, come invece ha fatto il tuo amico Walid.
Fine dei giochi.

Oggi, invece, voglio raccontarti che cosa è successo dopo.
Dopo la tua partenza, molte cose hanno smesso di funzionare. Abbiamo vissuto mesi allucinanti, alla ricerca delle cause di questo o quel disservizio. Abbiam più volte ripetuto, scherzando, che è stata la maledizione di Aymano ad averci colpito.
Ogni tanto ho chiesto di te a Walid.
Ho saputo che sei tornato in Tunisia e che qualche giorno fa sei morto in un incidente stradale.

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