De rerum fuffa

Pioveva a dirotto, quella sera. Avevamo, tuttavia, una casa che ci avrebbe ospitati e ottimo cibo da condividere con gli amici. Veri amici.
Il capitano aveva deciso che avremmo mangiato sushi, preparato secondo la tradizione giapponese. (E poi lui era un cuoco, e la compagna veniva dalle isole di Cipango. E devo dire che il suo mestiere lo sapeva fare proprio bene. Il capitano, non lei.)

Dicevo. Pioveva a dirotto e, nell’attesa che qualcuno venisse a prelevarci, iniziammo a scattarci foto.
Un po’ come fanno i bimbiminchia, un po’ come fanno i giovani innamorati, che ancora qualcosa hanno da dire e da fare, e ancora qualcosa vogliono sperare di potersi raccontare.

Il cinquantino era nuovo di pacca. L’acquistai lassù, in un negozio del quale, stranamente, non ricordo il nome. In una via -questa poi…- della quale non ricordo il nome.

Pioveva a dirotto, non si vedeva un tubo, e la luminosità era scarsa. Ma voi, intendo proprio voi, avete presente la luminosità degli occhi di un uomo (o mezza sega, via) innamorato? Unite quella luminosità alle prestazioni di un 50mm Canon, e il gioco è fatto.

È tutto qui, quello che ho da dire. Probabilmente di niente posso parlare, oggi, perché niente ho, e niente mi va di avere.

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