Clint Eastwood in via Petrarca

Piazza Guido Monaco è un crocevia perfetto.
Una delle vie che la incrociano è dedicata al Petrarca.
Non amo quella via, perché è davvero bruttina e dice proprio poco (per non scrivere che non dice un cazzo, ma non l’ho mica scritto, eh).

Però sono sovrappensiero e la imbocco ugualmente, mentre passeggio, per arrivare alla guinness-mobile. Dopo due secondi mi rendo conto che sto per fare un giro assurdo; penso “ma sì, chi se ne fotte, per questa volta”.
La veduta, sebbene non sia in cima ad un poggio, sebbene stiano per calare le tenebre, è strepitosa. Almeno stasera. Il cielo è aperto, lasciatemi dire, e l’unico pino marittimo che si erge proprio là in fondo, bè, non dà minimamente fastidio.
(Che poi dovete spiegarmi voi che cosa cazzo ci stanno a fare i pini marittimi in Arezzo. Mh.)
Mi fermo qualche istante: “Se scattassi una foto, comunque, verrebbe fuori una fotodemmerda“.

(Sì, ho tutte le mie astruse teorie sulla fotografia; niente a che vedere con manuali, corsi, fotografi famosi, tecnica, et similia.)

Anche per oggi non scatterò foto.

Ripresa la via, qualcosa stuzzica la coda dell’occhio, la quale, evidentemente, non risponde solo al fascino delle fanciulle che inciampano nella mia vita.
Nonostante la penombra, mi accorgo che lì, a poche spanne da me, sul marciapiede, c’è una scritta. È un’espressione che mi toglie il fiato, mi fa un po’ male, ma mi fa anche sorridere.
Non posso permettere al tempo di portarmela via, senza che io l’abbia prima fotografata.
Non è nemmeno scritta bene, ma il senso è quello, non c’è dubbio. Lo scatto sarà agghiacciante, ma non importa. La pioggia e il tempo porteranno via ogni cosa.

E dunque click.

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