A a a aaaarticolo tre tre tre trentuno

– Torniamo a casa, dai.

Ci aspettano ancora svariati chilometri, tutti da percorrere a settanta all’ora.
Al diavolo l’autostrada, questa non è serata da AC/DC. Facciamo un’altra volta, eh?

– Devo ricaricare il mio iPhone.
– Va bene, ma la musica la scelgo io.

Tra i vari album, intercetto “Strade di città”.
Mi luccicano gli occhi. Tornare ai primi anni novanta, in tre secondi netti, è una cosa che mi fa sempre effetto.
È tutto lì in un attimo: il gazzettino della classe, la nostra inviata in miniatura, il nostro caporedattore in erba e i nostri grafici muniti di stampanti casalinghe, rigorosamente ad aghi (le stampanti, non i grafici). Infine il mio pezzo sull’album.

Guardo le passeggere e sorrido. Chissà dove cazzo è andato a finire quell’articoletto.
Strade di città. Della mia città.
È buffo, ma questa non è più la mia città. È buffo, poi, che lo ripeta così spesso.

– No, ma dai, gli Articolo 31 no!
Però le parole fluiscono senza intoppi e scivolano veloci (come la mano di Jad) dalle nostre bocche, come se quell’album l’avessimo ascoltato il giorno prima. Come se non fossero passati già vent’anni.

Così torno a casa, e mi riservo il tempo giusto per importare i cd nella mia libreria.
Strade di città, Messa di Vespiri e Così com’è.
Basta così, dico. Quella musica è un’altra cosa che ho perso. Che mi è scivolata. Che mi è caduta.
I ricordi, però, sono sempre lì. Quelli non cadono mai e, a volte, ad uno ad uno salgono e mi tormentano.

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