Essere inculcati

Caro Presidente,

forse mai leggerà queste parole e di questo mi dispiaccio sinceramente.
So, tuttavia, che altri le leggeranno e che, magari, per via dei sei gradi di separazione, un giorno arriveranno ai suoi occhi.

Caro Presidente, credo di essere ciò che sono grazie ai miei genitori, prima di tutto, ma anche grazie agli ottimi insegnanti che hanno segnato, profondamente, il mio percorso scolastico.
Credo, veramente, di dover ringraziare chi mi ha fatto amare Dante, i numeri, il pensiero dei filosofi ed i miei amati autori latini.

Mi fanno notare, inter alia, che le sue parole sono offensive non solo nei confronti degli insegnanti, ma nei confronti degli stessi genitori: sembra che, comunque, qualcuno debba inculcare qualcosa.

Caro Presidente, sono un ragazzo che lavora duramente, che paga le tasse, che non conosce giorni di riposo, per il lavoro che svolge.
Sono un ragazzo stanco delle sue uscite basse e ritengo d’essere onesto, nel momento in cui le dico che rappresento, in primis, me stesso, senza appellarmi alla retorica del “e come me, tanti altri”.

Lei offende, perché pensa, forse, di poterlo fare liberamente. Forse pensa che il suo incarico derivi dalla voglia della “maggior parte degli italiani” (ed anche questo non è vero) di poter liberamente rubare, fottere, sfottere, comprare.

Non sono uno di loro e, se non lo sono, è anche grazie a chi, al mattino, faceva un tuffo nel passato, insieme a me ed ai miei compagni, per descriverci, ad esempio, il bieco servilismo e la codardia di Don Abbondio.

Ruggero.

P.s.
Forza, Professo’!

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