Si

Si

L’ultima volta

Sono le 4, minuto più, minuto meno. L’alba è vicina e San Lorenzo sta per svegliarsi.
Beviamo vodka alla pesca. È imbevibile, in verità, e ci sta dando alla testa.
Ma noi continuiamo a berla, e le tue labbra sanno di pesca. La cosa mi stuzzica e io ti stuzzico.
Chissà perché, poi, dato che detesto la frutta. Ah, che pirla, non detesto te. Non ancora.

Mentre bevo, cerco anche di elaborare quanto mi hai detto a proposito dell’amore, e della tua voglia di potere essere sempre libera.

Una fulminea associazione di idee mi fa ricordare una canzone.
La trascrivo, usando una delle tue innumerevoli biro colorate (un turchese acceso, tendente all’azzurro), e poi te la dedico, cantandola sommessamente.
Chissà perché, poi, dato che non amo cantare sottovoce. E però sono quasi le cinque del mattino, qualcuno potrebbe protestare.

Se il cuore nasce marinaio
non potrai averlo,
perché non basta un altro cuore per tenerlo.

Flash

“Penso che insieme siano bellissimi.”
“Ma chi, Andrea e Stefano?”
“Deh, ma sei ‘gnorante forte. Ma no! Andrea ed Eliana!”
Mi avvicino a Eliana: “Credo che Stefano stia insidiando il tu’ omo. Io te lo di’o, poi te tu fa’ quel che ti pare, eh!”

Il pianista attacca. Male, ma attacca, partendo con Dalla. Ok, Lucio, ma perché proprio questa sera?
Poi Morandi. Mh. Mah. Boh. Infine Paoli.

“Ecco, se ora ne canta una di Zarrillo (e la curva sarebbe perfetta), mi faccio direttamente in vena.”
In trenta minuti, la platea non fa altro che gridare il mio nome.
“No, ragazze, non sono in vena. Sto mangiando, bevendo e fumando in santa pace. Su, lasciatemi stare.”

MG mi prende alle spalle: “Ti prego, vai a cantare tu. Ti prego.”
Guardo il buon PP e gli chiedo: “Che cosa ne dici, mi sono fatto desiderare abbastanza?”
Flash. (Ma è passato e non ha senso tirarlo in ballo in questo momento)
Un’amica incalza: “Dai, fatti sentire, tutti dicono che hai una bella voce.”

Mi alzo, prendo il microfono, e dedico una canzone agli ometti seduti lì. Perché loro potranno dedicarla alla donna che amano.
Flash.

Mi commuovo, ma gli occhi non diventano lucidi. Non piango più, avrebbe cantato Rouge.
Flash.

Ogni volta è un aneddoto, tra una nota, una parola, una sigaretta e un respiro profondo.
“Grazie. Vorrei baciarti, ma tu non vuoi…”
“Bè, dai, forse in un’altra vita. E comunque non l’ho dedicata a te.”
“Sì, no, lo so, però l’ho sentita parecchio.”

Faccio un gesto strano, che significa, più o meno, “ok, adesso lasciami in pace.”
Riprendo in mano il bicchiere, guardo dritto davanti a me, accendo un’altra sigaretta.
Flash.

La cena sta per finire, la musica anche.
“Bravo davvero!”
“E grazie, anni e anni d’esperienza sotto la doccia…”
“No, dico sul serio!”
“Anch’io.”

Buonanotte e baci e il tempo delle cattedrali che crolla, insieme alla luna nel cielo.
“Ma no, che pirla, non è mica crollata, si è soltanto girata dall’altra parte.”
Flash.

Fa Sol La

Fa

Ideali

– Isabel, ti posso dire una cosa in confidenza?
L’uomo si passò un fazzoletto sulla fronte. Sudava.
– La Coca-Cola e il McDonald’s non hanno mai portato nessuno ad
Auschwitz, in quei campi di sterminio di cui a scuola ti avranno parlato,
invece gli ideali sì, ci avevi mai pensato, Isabel?
– Ma quelli erano nazisti, obiettò Isabella, gente orribile.
– Perfettamente d’accordo, disse l’uomo, i nazisti erano gente davvero
orribile, ma anche loro avevano un ideale e facevano la guerra per imporlo,
dal nostro punto di vista era un ideale perverso, ma dal loro no, in
quell’ideale avevano una grande fede, agli ideali bisogna starci attenti, che
ne dici, Isabel?
– Ci devo pensare, rispose la ragazzina, magari ci penserò a pranzo, sono
le dodici e mezzo, fra poco servono il pranzo, tu non vieni?

Avevo deciso da tempo di abbandonare alcuni ideali. Decisione non buona.
Non devo abbandonarli, devo solo starci attento, ed evitare di portare qualcuno ad Auschwitz, naturalmente.
E grazie a Tabucchi per il suo “Nuvole”, un racconto che mi ha piacevolmente colpito.

Sol

Calma e gesso

-Tu sei un cretino e non capisci un cazzo!
-Prego?
-Sì, sei uno stupido, hai anche gli orecchini!
-Quindi? Si dia una calmata, per cortesia, e mi spieghi che cosa è successo. Tra l’altro non mi sembra il caso di mettersi a berciare(*).
-Ma io ti faccio causa e me ne vado, perché non capisci un cazzo! Vuoi chiamare i carabinieri? Li chiamo io i carabinieri! Io vi denuncio e vi chiedo i danni!

Bestemmie, collera, minacce, ma io resto lì, fermo, davanti a quel cliente. Resto lì impassibile, privo di qualsiasi istinto omicida. Penso “toccami e sei morto”, ma non c’è davvero nulla di premeditato. Lo accompagno gentilmente alla porta, come non avrei mai fatto in vita mia (forse in una vita precedente, non so) e torno nel mio ufficio, sorridendo.

-Ruggero! Qualche anno fa l’avresti caricato di botte!
-E che ci vuoi fare, Saurinho? Mi sono calmato. A volte mi faccio paura da solo.

La

Un pezzo di te

I mesi estivi scorrevano velocissimi. Dall’alba al tramonto non c’era un attimo per fermarsi, neanche un attimo per evitare quella calura così tipicamente pugliese, e nemmeno un attimo per evitare di respirare salsedine e arsura della terra.
Di centoventisette ce n’erano tantissime, di palloni incastrati sotto le marmitte, pure.
A volte, i cofani roventi erano ricoperti di carte napoletane.
Sui marciapiedi, le sedie impagliate sostenevano anziani con la pelle divorata dal sole.
Insieme a loro, i ragazzini imparavano a giocare al “mediatore”, e a gridare “Acceit! Sopacceit!”(**) o a dire, sommessamente, “m’arress”(***).
Tufo e ceramica, tutt’intorno, e lastricati perennemente umidi, perché le donne del posto li inondavano d’acqua.
“Nonna, a che serve?” “P’addfrschell, Rggì, c’amman u calt”(****).

Negli occhi dei contadini leggevi la musica delle cicale, che in campagna non facevano altro che cantare, comodamente appoggiate a quella distesa di ulivi che, a guardarla, faceva quasi impressione.
Alle quattro del pomeriggio la città si spegneva; in strada restavano a giocare a pallone solo i maschietti, mentre le femminucce rientravano e si mettevano a seguire madri e nonne e le loro stramaledette pulizie di casa.

Pensavo al mare e alle buche che avrei scavato il giorno dopo, e alle buche che avrei scavato, in quella sabbia paradossalmente fredda, durante la notte, all’ombra di chiacchiere adulte, con lo sguardo perso tra gli occhi e le trecce di una ragazzina bionda che ora chissà come sta e dove e perché.
E mentre scavavo pensavo “alle ville” (altro non sono che i giardini pubblici), tra la piazza della stazione e il fossato del castello. E poi di nuovo in riva al mare, per respirarne la sua magnificenza, il suo mistero, il suo essere infinito.

E oggi scavo, senza una vera ragione, senza sapere che cosa riuscirò a trovare, pensando a quel che resta della mia terra.

(*) Urlare in modo sguaiato
(**) Uccido e “soprauccido”. Nel gioco del mediatore (simile alla briscola), il primo a mettere carta in terra decide il segno della mano. Chi tira di briscola, se non ha carte del seme imposto, uccide. E se pija tutto er cucuzzaro.
(***) Dichiaro di voler giocare la briscola. (Gioco sicuro.)
(****) “Per rinfrescarli, Ruggero, perché fa caldo”.

Via Larga, 19/bis

No, non esiste il civico /bis.
E allora? Allora non vi ho raccontato tutto.
Come?! No, non ho conquistato il cuore della cameriera.
Quindi… No, nemmeno quello della mia amica E.

Prima di giungere in via Larga (19, senza il bis), siamo passati da quella piazza lì (quella del Duomo, per intenderci).
E. mi ha guardato (quasi)sconvolta: “La senti questa musica? Ma… non sarà mica Max?!?”
Ebbene sì, signori miei: lì, a pochi metri da noi, c’era Max Pezzali con la piccola orchestra di Radio Italia.

Diciamo le cose come stanno: io impazzivo per le cassettine gialle e rosse degli 883, ma non ho mai potuto ascoltarli dal vivo.

E così ho abbracciato E., e sulle note di “Come mai” mi sono commosso.

Che pirla.

Do Re Mi

Do

Certificato anamnestico

– Buongiorno, dottore, avrei bisogno di una firma e di un timbro.
– È per la patente?
– Sì.
– Sai che questa è una prestazione a pagamento?
– Sì, me l’hanno detto.
– Ok. Dunque, vediamo un po’… Fai uso di sostanze psicotrope?
– No.
– Dipendi dall’alcol?
– Non ancora.

Timbro e firma.

– Hai bisogno della ricevuta?
– Bè, sì.
– No, perché con la ricevuta sono 50 euro, senza sono 40.
– Mi faccia pure la ricevuta.

(Prima o poi finirete in galera. Lo spero tanto.)

Re

Scosse

Driiiiin

– Ciao Ma’, dimmi.
– Tutto a posto?
– Sì, perché?
– C’è stata una scossa di terremoto ad Arezzo.
– Davvero?
– Sì.
– Non ho sentito nulla, Ma’. Tranquilla.
– Ok.

Epicentro a 40 chilometri da casa mia.

Mi

De gustibus non est disputandum

Non ne sono innamorato, diciamo che mi piace molto e che conosco il suo nome. Tutto qua.
Per puro caso, avvisto la sua automobile davanti all’ambulatorio del ladro.
Penso che sarebbe bello vederla sbucare da un angolo.
Mentre fantastico, da qualche metro scorgo una considerevole pila di cd nel vano portaoggetti del suo mezzo.
“Figata, ascolta un sacco di musica!”
Mi avvicino, curioso, e leggo il nome del mio personale innominabile (non mi dite niente): David Bowie (cazzo, l’ho nominato).
“Bè, è finita ancor prima di cominciare. Che peccato.”

Ricordare 16 anni

Esattamente 16 anni fa.

Ho letto articoli, impressioni, commenti et similia, a proposito di quanto è accaduto sabato, a Brindisi.
Ho pensato di tacere, di curarmi solo della mia torta, di stare qui buono buono, di non scrivere nulla, e invece…

A me non interessa chi, come e perché, se devo essere sincero.
A me interessa solo che quel “chi” venga punito in maniera esemplare.

Sabato ho pianto, ho osservato il mio personale minuto di silenzio e, infine, ho iniziato a ricordare.
Ho ricordato i miei 16 anni. Ho ripercorso le strade di Novara: da corso Torino, passando per viale Giulio Cesare, fino ad arrivare in via Toscana.

Ho rivisto le faccette di cazzo dei miei compagni di liceo, ho riascoltato il metal e riannusato l’odore del tabacco -nel mio caso- rigorosamente scroccato.
Ho rivisto le facce dei genitori all’uscita di scuola: le facce di quelli prepotenti e di quelli che non vedevano l’ora di riportare il figliolo o la figliola a casa.

Ho risentito, sulla pelle, l’aria maggese e ho rivisto, nei miei occhi, la voglia di vivere l’estate, di salutare i professori e di lasciare la scuola con un liberatorio “ci vediamo l’anno prossimo”.
All’epoca avevo qualche aspettativa, alcuni piccoli progetti e la prima morosa; mai e poi mai mi sarei sognato di oltrepassare quei cancelli, un giorno, e di non vedere più la luce.

Così, oggi, penso di non volere più un figlio. Oggi ho paura e tanta rabbia.
Poi, forse, passerà, ma per il momento me ne sto qui, da solo, senza bandiere e senza alcuna fiducia.

Via Larga, 19

Milano si spegne, piano piano, una volta superata piazza San Babila.
È giunta l’ora di prendere un caffè, ma le strade sono deserte e sembra che non ci sia possibilità di fermarsi in un posto piacevole, per continuare a scambiare due parole.

Ad un tratto giunge l’illuminazione (non mia, naturalmente).

California Bakery.

Entro e noto subito una spropositata quantità di dolci.
Penso ad una “double chocolate”, ma il mio cuore non regge l’idea della marmellata al lampone, e dunque ripiego su una coppa di gelato alla crema, ricoperta di panna e piena di brownies. (Molto più leggera, chiaramente…)

Le chiacchiere sono dolci, il tempo scorre veloce, l’affetto è palpabile, le risate continue.
Ad un certo punto, però, la coda dell’occhio mi dice qualcosa.
Faccio finta di non percepire (sono comunque in compagnia di una bellissima fanciulla, va detto).
E però, alla fine, cedo alle avances del mio istinto.

Nomade: ora la fermo e le chiedo se ci si può innamorare delle cameriere, anche se c’è la crisi.
E.: se lo fai, diventi il mio mito.

Ma sì.

Nomade: secondo te, in tempo di crisi, ci si può ancora innamorare delle cameriere?
Cameriera: penso proprio di sì.

Che pirla.