Correva l’anno 1988.
Il festival della canzone italiana, quell’anno, veniva presentato da Gabriella Carlucci e da Miguel Bosé.
Io ero piccino, ma ricordo che fu strano non vedere sul palco il nostro Super Pippo nazionale.
Io ero piccino, ma ricordo benissimo la canzone che vinse la manifestazione: “Perdere l’amore”; e ricordo benissimo quella che si classificò al terzo posto. Vabbè, per inciso, ci sarebbe da menzionare anche l’eterno secondo con “Emozioni”, ma non è questo il momento adatto per ridere.
La terza classificata era una canzone di un nostro cantautore romano: Luca Barbarossa.
Il testo trattava, senza troppi giri di parole, il tema della violenza sulle donne.
“L’amore rubato”. Ero piccino, ma ricordo che rimasi scosso. Parecchio scosso.
Figuriamoci: un bambino non può che avere un’idea idilliaca dell’amore, a meno che non sia figlio della strega di Biancaneve e allora lì le cose cambiano.
la ragazza non immaginava
che così forte fosse il dolore
passava il vento e lei pregava
che non tornassero quelle parole
adesso muoviti fammi godere
se non ti piace puoi anche gridare
tanto nessuno potrà sentire
tanto nessuno ti potrà salvare
Quindi nel 1988, ben lontani e al riparo dalla potenza di fuoco dei nostri amati social, Luca Barbarossa sbatteva in faccia alla gente un tema -credetemi- per l’epoca assai imbarazzante e poco dibattuto o, meglio, dibattuto in maniera diversa rispetto a oggi.
Eravamo ancora lì a escogitare un modo per abbattere muri di cemento e muri di gomma, prima di riuscire a parlare, più o meno liberamente, di sesso, violenza, contraccettivi e divorzi.
E oggi, alla fine del 2014, diciamo pure all’albeggiare del 2015, la gente ancora ricorre a ridicoli mezzucci per auto-promuoversi e per tentare di instillare, nelle nostre ormai mature coscienze, contenuti di una pochezza e di una brutalità disarmanti.
Per fortuna, c’è ancora qualcuno che usa la testa e i mezzi di cui dispone per contrastare correnti che, attraverso il buonismo, riescono a fare più danni dei proiettili.
Buon Anno a tutti.