Un giorno, mio padre si avvicinò e, guardandomi molto serenamente, mi disse:
“Figlio mio, smetti di fumare, per favore.”
Lì per lì, rimasi un po’ sorpreso da quel modo così gentile. E, sempre lì per lì, gli risposi:
“Se me lo dici così, quasi quasi, smetto.”
Quel “quasi quasi” mi ha fregato per anni.
Ogni volta che mio padre mi chiedeva perché non smettessi di fumare (tre o quattro volte all’anno, il numero delle mie visite ai miei), io gli rispondevo: “Perché so esattamente quando smetterò di fumare.”
Pensavo a un evento speciale, a qualcosa di veramente e banalmente bello.
Del resto, anche Niccolò cantava: “Non si smette di fumare in un giorno qualunque…”
E così, nella mia testa, cercavo di associare il momento in cui avrei spento l’ultima sigaretta a un istante che non avrei mai potuto scordare.
E invece.
Il giorno è arrivato, senza essere stato annunciato, senza un motivo particolare. Come se, a ben vedere, non possa avere che “giorni qualunque”, nella mia vita.
Oh, sì, così suona un po’ triste tutta la faccenda, ma la cosa importante è che alle 23.49 del 2 aprile 2013, io abbia acceso l’ultima sigaretta. E non quell’ultima sigaretta di cosiniana memoria, ma proprio l’ultima.
Non c’è da essere fieri, né da pensare a chissà quale eroico gesto. E la lotta contro la voglia di accenderne una è davvero dura. Più dura di quanto pensassi.
C’è, tuttavia, un pensiero che mi consola: siccome è tutto inutile, il fatto di voler rendere ancora più inutile quest’ultimo gesto, beh, non mi alletta. Ergo: resisterò e un giorno, in quel giorno speciale, potrò compiere un altro gesto, forse più grandioso e meno egoista.