E tu cosa combini?

Cerco di sedurla, ma non ci riesco. È in grado di mutilarmi così velocemente, che alla fine tento di conquistarla con un attacco cieco e disperato, perché l’inferiorità numerica è netta.

Faccio breccia, e lei arrocca sull’ala di donna.
Ci sono ancora un paio di ostacoli, ma il monarca è lì, a pochi passi da me. Lo vedo. Sarà presto mio. E lei verrà con me.

Sembra quasi che stia esitando, ha poche possibilità, ma poi mi guarda col suo sorrisetto sornione, e io non capisco. Il suo re muove un agile passo verso A-1 e la mia regina, la perfida nera, per evitare la sconfitta totale, si arena in C-2.

Un altro stallo, amico mio. Un altro fottutissimo stallo.

Ma ci riproverò. Come sempre.

Festa di compleanno multi-qualcosa

Sono fermo davanti alla porchetta. Dieci chili di carne aromatizzata, con tanto di cotenna e tutto quello che ci può essere dentro, fuori e intorno: calorie, grasso e profumi indescrivibili (sì, nell’aria della sera).
Sto dicendo che la porchetta mi ha catturato e dire che mi ha preso la gola, credetemi, è dire poco.
Penso che nulla, in quei felici momenti, possa catturare la mia attenzione.
Ma.
Succede una cosa che mi scuote.
Le mamme urlano per richiamare i propri pargoli, scandendo, a voce alta, ogni singola lettera dei loro nomi: “Brian, Alena, Lapo, venite qui!”
Mi irrigidisco, smetto di guardare la porchetta e do principio ad un “Ma che caz…”.

Va bene, i figlioli sono i vostri, i nomi pure, io porto il nome del mio povero nonno e non c’è niente di male. Ma come cazzo vi sarà saltato in mente di chiamare i vostri figlioli in quel modo?!
Passi per Lapo, ch’è molto toscano, ma ALENA e BRIAN no! No, mi rifiuto.

Li avete marchiati a vita, cazzo santo. Davvero, dico.

Guardo la porchetta. Guardo il babbo di Brian. Riguardo la porchetta e penso che, se non altro, ad attendere Brian ci sarà un futuro illuminato.

Clint Eastwood in via Petrarca

Piazza Guido Monaco è un crocevia perfetto.
Una delle vie che la incrociano è dedicata al Petrarca.
Non amo quella via, perché è davvero bruttina e dice proprio poco (per non scrivere che non dice un cazzo, ma non l’ho mica scritto, eh).

Però sono sovrappensiero e la imbocco ugualmente, mentre passeggio, per arrivare alla guinness-mobile. Dopo due secondi mi rendo conto che sto per fare un giro assurdo; penso “ma sì, chi se ne fotte, per questa volta”.
La veduta, sebbene non sia in cima ad un poggio, sebbene stiano per calare le tenebre, è strepitosa. Almeno stasera. Il cielo è aperto, lasciatemi dire, e l’unico pino marittimo che si erge proprio là in fondo, bè, non dà minimamente fastidio.
(Che poi dovete spiegarmi voi che cosa cazzo ci stanno a fare i pini marittimi in Arezzo. Mh.)
Mi fermo qualche istante: “Se scattassi una foto, comunque, verrebbe fuori una fotodemmerda“.

(Sì, ho tutte le mie astruse teorie sulla fotografia; niente a che vedere con manuali, corsi, fotografi famosi, tecnica, et similia.)

Anche per oggi non scatterò foto.

Ripresa la via, qualcosa stuzzica la coda dell’occhio, la quale, evidentemente, non risponde solo al fascino delle fanciulle che inciampano nella mia vita.
Nonostante la penombra, mi accorgo che lì, a poche spanne da me, sul marciapiede, c’è una scritta. È un’espressione che mi toglie il fiato, mi fa un po’ male, ma mi fa anche sorridere.
Non posso permettere al tempo di portarmela via, senza che io l’abbia prima fotografata.
Non è nemmeno scritta bene, ma il senso è quello, non c’è dubbio. Lo scatto sarà agghiacciante, ma non importa. La pioggia e il tempo porteranno via ogni cosa.

E dunque click.

Impressioni di maggio

Così, prima di cercare quello che avrei voluto cercare, ho suonicchiato “Impressioni di settembre”.
A parte Robert Moog, a parte una serie di ricordi (abbastanza vintage -letto alla francese, vi prego-), a parte l’aver dato fastidio ai colleghi, a parte tutto questo, ho pensato che mi manca un sacco l’eleganza di Flavio Premoli.
Buona musica a tutti.

Ricordare 16 anni

Esattamente 16 anni fa.

Ho letto articoli, impressioni, commenti et similia, a proposito di quanto è accaduto sabato, a Brindisi.
Ho pensato di tacere, di curarmi solo della mia torta, di stare qui buono buono, di non scrivere nulla, e invece…

A me non interessa chi, come e perché, se devo essere sincero.
A me interessa solo che quel “chi” venga punito in maniera esemplare.

Sabato ho pianto, ho osservato il mio personale minuto di silenzio e, infine, ho iniziato a ricordare.
Ho ricordato i miei 16 anni. Ho ripercorso le strade di Novara: da corso Torino, passando per viale Giulio Cesare, fino ad arrivare in via Toscana.

Ho rivisto le faccette di cazzo dei miei compagni di liceo, ho riascoltato il metal e riannusato l’odore del tabacco -nel mio caso- rigorosamente scroccato.
Ho rivisto le facce dei genitori all’uscita di scuola: le facce di quelli prepotenti e di quelli che non vedevano l’ora di riportare il figliolo o la figliola a casa.

Ho risentito, sulla pelle, l’aria maggese e ho rivisto, nei miei occhi, la voglia di vivere l’estate, di salutare i professori e di lasciare la scuola con un liberatorio “ci vediamo l’anno prossimo”.
All’epoca avevo qualche aspettativa, alcuni piccoli progetti e la prima morosa; mai e poi mai mi sarei sognato di oltrepassare quei cancelli, un giorno, e di non vedere più la luce.

Così, oggi, penso di non volere più un figlio. Oggi ho paura e tanta rabbia.
Poi, forse, passerà, ma per il momento me ne sto qui, da solo, senza bandiere e senza alcuna fiducia.

La mia torta

Ingredienti per un massacro:

– 250 grammi di zucchero
– 250 grammi di burro
– 250 grammi di cioccolato fondente
– 150 grammi di farina
– 6 uova
– 1 pizzico di sale
– Temperatura del forno: 180°C
– Ingrediente segreto (*)

Prima di tutto: vi siete lavati le mani?
Benissimo.
Lavate anche le uova, già che ci siete. (E poi rilavatevi le mani, mi raccomando.)
Molto bene.

Procediamo.

Fate fondere, a bagnomaria, burro e cioccolato. (Cercate di evitare di mangiare tutto, prima che sia giunto il momento di unire la fusione agli altri ingredienti. Grazie. E poi lo dico per voi, oh.)
Separate i tuorli dai relativi albumi.
Unite i tuorli allo zucchero e frullate bene bene, in modo da ottenere una bellissima crema gialla, che tenda al bianco.
(No, non vi sto chiedendo di farlo a mano, usate pure uno di quegli infernali aggeggi elettrici.)

Fumatevi una sigaretta. (In alternativa, fate quello che vi pare.)
La fusione burro/cioccolato dovrebbe essere pronta.
Unitela alla crema ottenuta precedentemente, insieme al pizzico di sale.
Rimestate, girate, scuotete, agitate, amalgamate.
Fatto?
Prendete la farina e seguite lo stesso procedimento. (Sì, lo so, a questo punto il vostro avambraccio assomiglierà a quello di Rafael Nadal, ma non crucciatevene: un mese di inattività vi ridonerà il vostro normale tono muscolare.)
Unite il vostro ingrediente segreto.

Montate pure le chiare dell’uovo a neve.
Ci siamo quasi. (Nel frattempo qualcuno avrà pure imburrato la tortiera a modo, no? Perfetto.)

Unite le chiare montate a neve alla miscela cioccolatosa, burrosa atque farinosa; ma fatelo con delicatezza ed estremo garbo, per cortesia.
Mescolate dolcemente fino ad ottenere un impasto omogeneo, che ricordi, da vicino, un’opera del pointillisme.

Ci siete? Grandi!
Rovesciate con dolcezza il vostro impasto nella tortiera, infornate e lasciate cuocere per 25 minuti.

Una volta sfornata la torta, dovrete lasciarla raffreddare. Dopodiché vi consiglio di spolverare con cacao amaro o zucchero a velo (a seconda dei gusti).

Mangiate, godete e prenotate un prelievo per le analisi del sangue.

(*) Potrebbe essere l’amore, un paio di cucchiai di rhum o di quel che vi pare.

Benvenuti!

Sì, lo so, sembra quasi che non sia cambiato nulla.
Non è proprio vero, sapete? Qui c’è ancora un bel po’ di disordine, i lavori sono tuttora in corso, e le novità non sono finite.

Sarò qui per voi, cari due lettori e mezzo. E sarò qui anche per me, naturalmente. Come una volta. Come sempre. La casa del nomade è grande e c’è posto per tutti. Anche in piedi.

Arrivederci, dunque. E… che emozione, oh! :)

Che fallimento!

E ho detto tutto.
E vabbè, vabbè.

Trust

“I don’t believe that there are bad people,
but I believe that there is actually bad hardware”

Via Larga, 19

Milano si spegne, piano piano, una volta superata piazza San Babila.
È giunta l’ora di prendere un caffè, ma le strade sono deserte e sembra che non ci sia possibilità di fermarsi in un posto piacevole, per continuare a scambiare due parole.

Ad un tratto giunge l’illuminazione (non mia, naturalmente).

California Bakery.

Entro e noto subito una spropositata quantità di dolci.
Penso ad una “double chocolate”, ma il mio cuore non regge l’idea della marmellata al lampone, e dunque ripiego su una coppa di gelato alla crema, ricoperta di panna e piena di brownies. (Molto più leggera, chiaramente…)

Le chiacchiere sono dolci, il tempo scorre veloce, l’affetto è palpabile, le risate continue.
Ad un certo punto, però, la coda dell’occhio mi dice qualcosa.
Faccio finta di non percepire (sono comunque in compagnia di una bellissima fanciulla, va detto).
E però, alla fine, cedo alle avances del mio istinto.

Nomade: ora la fermo e le chiedo se ci si può innamorare delle cameriere, anche se c’è la crisi.
E.: se lo fai, diventi il mio mito.

Ma sì.

Nomade: secondo te, in tempo di crisi, ci si può ancora innamorare delle cameriere?
Cameriera: penso proprio di sì.

Che pirla.