Come il vento a novembre

Un giorno passato a pensare all’indelicatezza della sincerità.
Un giorno passato a smaltire una sensazione che non mi appartiene.
Un giorno passato a pensare che non ho più segreti, né limiti, né confini.
Un giorno passato. L’ennesimo. Lontano da chiunque.

Una notizia sul giornale.
C’è meno transito, ultimamente. I lampioni lavorano di meno, come le ombre, i marciapiedi possono tirare un sospiro di sollievo, i comignoli iniziano a sbuffare e anche io, vedendoli, mi metto a sbuffare.

Fumo.
C’è meno fumo, ultimamente. I posaceneri riposano, sognando d’ardere come tizzoni, il terrazzo non mi riconosce più, tutte le luci stanno fuori ad attendere il mio ritorno.

Un treno.
Vorrei salirci adesso, magari contrarre una malattia epidermica (“what don’t kill you make you more strong”), tuffarmi con orecchie e cuore tra le carezze e le rasoiate delle canzoni di quei quattro cavalieri.

Un gentiluomo.
Così il mio pensiero si scusa con le mie orecchie, e consiglia l’ascolto di musica nuova. Qualsiasi cosa. Basta che sia “post”, direbbe un caro amico. Sigur, dico io. Rós, dice l’altro. Leggerezza e delicatezza.

Una gentildonna.
Rivesto l’ambiente di tappeti sonori, di immagini di luoghi freddi e di luci buie, che faticano a star dietro al passo della notte.

Oscurità.
Ci ritorno, dopo aver passato un giorno ad ascoltare musica.
E a tendere a non desiderare più nulla.
(E ad avercela quasi fatta.)

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