Una chiamata persa

Una chiamata persa è in grado di allarmarmi in modo impressionante.
Sì, lo so, non dovrei allarmarmi così facilmente.
Sì, lo so, vent’anni fa non ci sarebbe stata alcuna chiamata persa.
Ma adesso ci sono, ed è cosa ineludibile.

Scrivo per chiedere che cosa sia successo (ben conoscendo la pessima situazione della ragazza).
Nessuna risposta.

Oggi il telefono squilla.
“Avrei voluto farti ascoltare una canzone dal vivo…”
“Cromatica?”
“No: una donna e la sua semplicità…”

Se avessi risposto, sarei scoppiato a piangere nel bel mezzo dell’esatto centro di Arezzo.

Che cosa mi insegna questa faccenda? Che è meglio perdere le chiamate. Senza dubbio. E che allarmarsi, in fin dei conti, non serve a niente.
E che hai avuto un pensiero carino, piccole’. Grazie.

Venerdì giovane

Bevo qualcosa per festeggiare il compleanno di un amico.
Passeggio per le vie del centro, cercando di sorridere ai passanti, a chi non cede il passo, a chi pensa che ci sia ancora qualcosa da dire, a qualche interlocutrice occasionale.

L’aria è buona. È una bella serata, nulla da eccepire.
“Auguri, ragazzo!”
“Come, come?”, interviene uno sconosciuto “è il tuo compleanno?”
“Sì, trent’anni!”
“Auguri!!!”

Nessun coro -qualcuno ce ne scampi e liberi- e “buonanotte, ci si vede domani sera, e se ricapiti per il centro si fa un aperitivo prima della cena.”
“Va bene, a domani.”

Torno verso la guinness-mobile, accendo l’ultima sigaretta e resto a rimirare le mura e la bellezza, un po’ soffocata, di questa città (ripenso anche alle parole non gentili spese per il nostro “amato” sindaco, nel frattempo).

Sto per buttare la cicca quando, ad un certo punto, mi sembra di riconoscere un ragazzo.
“Ma sì, cazzo, è Beppe!”.
Muove passi incerti, il ragazzo, perché è visibilmente “fatto”. Anzi, no, “stra-fatto”.

“Beppe! Ma come minchia ti sei ridotto?!”
“Perché, si vede?”
“Nooooooooooooo. Certo che si vede! Dove stai andando?”
“A casa, a piedi, ma fin laggiù io non ci arrivo…”
“Vieni, sali in macchina, rincoglionito!”
“Ma davvero si vede che non mi reggo in piedi?”
“Certo che si vede che non ti reggi in piedi!”
“Oddio, e adesso come faccio a rientrare in casa?”
“Con le chiavi, Beppe.”
“Non ce le ho! Che cosa dico a mia madre?”

Resto in silenzio. Ripenso ai miei diciotto anni. Ripenso alle prime sere alla Public.
Sono certo di non essermi mai ridotto in quello stato. All’epoca no, ne sono sicuro.

“Beppe, non sono tuo padre, ma cazzo! Non puoi ridurti così!”
“Eh, lo so, hai ragione, ma il sabato è così!”
“No, Beppe, è venerdì.”
“Ah, giusto”.

Arrivo sotto casa sua. Aspetto che scenda. Verifico che riesca a mettere insieme i propri passi e dopo riparto.
Riparto, ma penso che, in tutto questo, ci sia qualcosa di profondamente sbagliato.

Blog therapy

Buonanotte a tutti.

Di seguito i link ai podcast della trasmissione andata in onda.

Blog therapy – Prima parte
Blog therapy – Seconda parte

Un saluto ed un ringraziamento ad Alessandro.

Arrivederci a questa sera

Su Radio500.

Ci sarà anche un altro amico blogger: il tenutario de alcuni aneddoti dal mio futuro.

Dalle 22, i blog on air.

A più tardi, dunque ;)

Radio500

Cari lettori,

domani -domenica 18 marzo- alle ore 22 su http://www.radiocinquecento.com/ il conduttore della trasmissione leggerà alcuni articoli tratti da vari blog; tra questi ci sarà anche il mio Everybody’s got to learn sometime.

Dopo le letture, ci saranno le interviste.

Un caro saluto.

Sul muro di una casa abbandonata

Febbre e nervi scoperti. Sono al freddo. Sono vulnerabile, come un fianco lacerato, nudo, al sole di una primavera insipida e ancora tagliente.
L’ombra gelida, eterna compagna, vorrebbe consolarmi, mentre mi crogiolo in un dolore senza memoria.
Rido, tossisco, bevo, e lascio che l’ennesima sigaretta raschi il fondo della mia gola in fiamme e del mio torace dolorante.
Guardo note e ascolto spartiti che non sanno dirmi molto, in questo frangente.
Questo dolore è un’illusione. Voglio che ci sia, ma in realtà non c’è.
È il corpo che mi limita; forse dovrei sbarazzarmene.

La casa è abbandonata da poco tempo. Forse è riuscito davvero a sbarazzarsi del suo corpo.

Il primo bacio

Oggi… qualche anno fa.

Dicevo.
È sicuramente come scrive lui nel commento al mio post precedente, ma c’è dell’altro; un altro motivo, che mi porta a pensare che la musica non stia facendo il proprio dovere.

Mi chiedo perché le persone arrivino con brani, citazioni, note che, in questo momento, non vorrei ascoltare nemmeno a basso volume e nemmeno da un’altra stanza. O da un’altra città. O da un altro pianeta.

Ecco, non mi era mai capitato. Non mi era mai capitato di non avere il pieno controllo del pulsante “off” e, naturalmente, anche del pulsante “on”.

Basta, per favore. Lo dico per voi, mica per me.
Lo dico per voi, perché potrei incenerire i vostri ai-qualcosa e le vostre belle autoradio.

The chemical death

Il passo è svelto, anche se non ho nulla da perdere.
Un’aria pungente e colori nitidi delineano il percorso.
(Nulla di filosofico, sia chiaro, si tratta solo della strada da percorrere verso il parcheggio.)

I nuovi auricolari mi isolano dai rumori ambientali (nulla a che vedere, comunque, con le cuffie strafiche del viaggiatore aipoddato).

Penso a quanto sia strano, e in certo modo buffo, anche solo per qualche minuto, estraniarsi completamente dalla realtà, lasciando orecchie e cervello in balia della musica.

Mi dico che potrei anche cessare di esistere, che quello potrebbe essere l’esatto intervallo in cui salutare tutti e “Ma sì, andatevene a fare in culo, voi, le vostre automobili, le vostre case, i vostri colori che delineano la strada, e cose così”. E mentre me lo dico, esattamente dentro quelle parole, penso “Però, non sarebbe davvero male: attendo un crescendo -ché in quest’album ce ne sono diversi- e su quel crescendo arriva lui, il tristo mietitore, a compiere l’ultimo gesto. Il gesto definitivo”. Smetto di pensare e mi dico “Ma quanto sono stupido, ascoltiamo ‘sto crescendo, che è meglio”.

In quel momento preciso, un suv si arresta bruscamente a cinque centimetri da me.

Resto impietrito e, dopo aver ripreso fiato, mi scanso e faccio qualche passo, guardando la donna al volante.
Torno a casa e mi metto a scrivere. Ancora una volta.

In vino veritas

Il più bel sorriso del 2012.
È stato molto bello, diceva il Maestro.