L’anteprima

Arrivederci, Lucio… :’)

Prima dell’anteprima

Incontro un’amica che mi dice: non sai quanto ho pianto ieri, è giusto che pianga anche tu; così mi fa ascoltare una versione di “Cromatica”, dei Marta sui Tubi, registrata tre settimane fa… insieme a Lucio Dalla.

Il singolo verrà pubblicato il 5 marzo. Non perdetevelo, se potete: è una piccola perla.

Lui, lui, l’altra.

[…]”Anche io trovo che la sincerità sia una qualità apprezzabile. Apprezzabilissima.
Chiesi al mio compagno di promettermi di non raccontarmi mai bugie.”
“L’ha fatto? Voglio dire, ha promesso e poi mantenuto?”
“Sì, ma poi aveva iniziato ad omettere, naturalmente. E allora non so più se sia stata una bella idea, la mia. Oddio, avrei dovuto aspettarmelo, sai?”[…]”Io ero così giovane. Sono arrivato vergine al matrimonio. Non tanto per un discorso religioso, quanto perché era una cosa alla quale tenevo moltissimo: mi sembrava potesse essere un dono meraviglioso. Soprattutto per lui. Ero molto innamorato. Non so se mi capisci.”
“Non proprio.”
“Ti dicevo… E insomma io ero così giovane e lui un eterosessuale convinto, più grande di me, e aveva avuto donne bellissime. Ecco, io avevo messo in conto che lui potesse… Era un uomo davvero affascinante.”
“Capisco.”
“Però, per più di quarant’anni sono stato un uomo felice.”
“E le bugie?”
“Sai, quando una persona arriva a mentire è perché vuole proteggere l’altro, quello in più. E vuole farlo perché è diventato l’elemento più importante.”
“Me lo rispieghi, per favore?”
“Voglio dire: se arrivo a mentire o ad omettere per proteggere un altro, vuol dire che quell’altro è più importante di te che sei, ora, davanti a me.”
“Forse ora ho capito e sono d’accordo.”
“Lui, però, in punto di morte, mi raccontò ogni cosa. Pensava che in casa vivessero tante persone. Mi parlava come se fossi una sorella, o una cuoca, o la madre… e mi diceva: “Non raccontarlo a * perché ne soffrirebbe”. Ed io ero lì, immobile, con le lacrime agli occhi e annuivo, mentre gli tenevo la mano.”[…]

* al Nomade – 22 febbraio 2012

KI

Un timbro, un ricordo, facce conosciute.
Qualcuno direbbe anche: “Strani segnali”.

No, bimba, non ho commesso un errore.
“Sei mai stato fidanzato?”
Il sorriso si fa beffardo, poi ironico ed infine irriverente.
“Sì, diverse volte.”
“Scusa, perché ridi?”
“No, così, trovo che sia del tutto irrilevante.”
“Ma te lo chiedo come ti chiederei che musica ti piace, o cose così”.

La notte sta quasi per scomparire, ed io mi ritrovo a pensare che no, non sono cose così, e che davvero non c’entrano niente col nomade che sta respirando in quel momento.

Un timbro, un ricordo, facce conosciute.
Qualcuno direbbe anche: “Strani segnali”.

A te, che, invece, non ti sei fermata per qualche secondo, avrei voluto dire semplicemente “buona vita”, perché incontrarti lì è stato assurdo ed il tuo sorriso mi ha ricordato centinaia di passi e di minuti e di momenti poco sereni.

La notte sta quasi per scomparire, ed io mi ritrovo a pensare ad un mondo che no, non è più qui, ad un mondo che non si arresterà, se non nel collasso del mix di alcolici che mi stanno tenendo leggero. Mi sembra quasi di galleggiare.

E poi mi torna in mente una canzone, mentre mi sorprendo a farmi dare lezioni di vita da una persona che non avrei mai immaginato di incontrare. Una bimba schietta, tagliente, che, domande a parte, qualcosa del nomade ha colto.

In attesa…

… di quel bicchiere di vino rosso rubino.

Campania-Sardegna A.R.

Mi ritrovo ad ascoltare un dialogo in campano stretto.
Una magia vuole che io capisca ogni singola parola.

(Traduco)

“Così, la settimana scorsa sei stato in Sardegna, eh?”
“Sì, ma ero così stanco che non sono riuscito a partire di domenica. Ho mangiato, mi sono fatto una doccia e poi mi sono addormentato. Sono partito lunedì.”
“Vabbè, avrai guadagnato qualcosa in più, o no?”
“Sì, cento euro. Non male.”
“Ma non sei convinto?”
“Non è che non sono convinto, è che mio figlio non vuole parlarmi più”.

A quel punto mi si gela il sangue…

“Ero al telefono con mia moglie e mio figlio le ha detto che non voleva parlare con quello… È come se al telefono fossi un altro…”

È anche questa la vita degli autotrasportatori.
E per me, un dialogo del genere vale più di mille Monti, più di mille sentenze contro Eternit, più di mille altre parole.

Un campione e un lanciatore di coltelli

Un bel buco nella nostra corrispondenza di un tempo, non credi?
Hai ragione a dirmi che ti devo una lettera. Da un po’ di tempo del resto devo una lettera praticamente a tutti. Perché? A quanto pare gli anni ti rendono così. Il cavallo che un tempo andava tenuto a freno adesso dev’essere frustato per fargli fare appena un po’ di più che un passo stanco… Quando le energie se ne vanno si diventa sempre più avari nell’usarle. Un uomo dovrebbe svolgere il suo lavoro quotidiano, qualunque esso sia, e poi scrivere sempre un paio di lettere per tenersi in contatto con le persone a cui vuole bene e che non può vedere. Ma mi accorgo che quando finisco quello che passa per essere il mio lavoro quotidiano mi sento del tutto spompato…
I miei complimenti al signor Weeks perché fa parte di quella piccola minoranza di critici che non hanno ritenuto necessario dare una sistemata a Hemingway per il suo ultimo libro(*). Ho appena finito di leggerlo. Francamente non è il migliore che abbia scritto ma rimane comunque una dannata spanna sopra a qualunque cosa possono scrivere i suoi detrattori… Ti saresti aspettato che almeno alcuni di loro si chiedessero cosa stava cercando di fare. Ovviamente non stava cercando di scrivere un capolavoro; ma stava provando a raccontare, con un personaggio non dissimile da lui stesso, l’atteggiamento di un uomo che è alla fine e che lo sa e che per questo è acido e arrabbiato. A quanto pare era stato molto male e non era sicuro di poter guarire, per cui ha messo su carta, in modo piuttosto sbrigativo, il suo stato d’animo nei confronti di ciò che aveva maggiormente amato nella vita. Suppongo che questi pavoni sapientoni che si fanno chiamare critici pensino che non avrebbe dovuto scriverlo affatto, questo libro. La maggior parte delle persone non l’avrebbe fatto. Nelle sue condizioni non avrebbero avuto il fegato di scrivere niente. Sono maledettamente sicuro che io non l’avrei fatto. Questa è la differenza tra un campione e un lanciatore di coltelli. Il campione può perdere la sua ispirazione – temporaneamente o in modo permanente, non può saperlo per certo. Ma quando non è più in grado di lanciare la palla imprendibile, lancia il cuore. Qualcosa lancia. Non ci sta a lasciare il monte e ad andarsene piangendo negli spogliatoi.

Raymond Chandler a Charles W.Morton – 9 ottobre 1950

(*) Di là dal fiume e tra gli alberi, del 1950

Ho un blog, sì.

E ho pure un account su flickr.
Ho aggiornato l’album fotografico, perché, diciamocelo, i “casi” avevano un po’ rotto i coglioni.

Buon anno a tutti e buona musica.
Sì.

Everybody’s got to learn sometime

Sono le 17, minuto più, minuto meno.
Passeggio per le vie di una città del nord, lontano da qualunque casa.

Siamo in pieno inverno; è sufficiente respirare il profumo della nebbia, per capire che siamo in pieno inverno.

(che tempo di merda: piove e c’è la nebbia)
Piove, ma le gocce sono fini, rade, poco convinte.
Sono poco convinte come i miei passi, che sostengono un braccio levato a salutare sorrisi che chiudono portoni.

Chissà che cosa pensa di me il libraio. Mi vede, sorride, magari pensa che sia una bella persona. Dentro e fuori, come mi disse Enea qualche tempo fa.

Finalmente i lampioni si inchinano, assieme alla loro luce così calda. Si inchinano e mi salutano. Finalmente qualcosa mi rispetta.
E siamo in pieno inverno.

Incrocio due occhi verdi, che non mi sarei mai aspettato di trovare quel giorno, in pieno e freddo inverno.
Sono gli occhi di un’attrice, a ben vedere.
Somigliano molto agli occhi di una famosa attrice, se non altro.

Sorrido, bevo una birra e scatto una foto.
Tutti sorridono, in verità: il cervello, il cuore, lo stomaco.

Siamo in pieno inverno ed io dovrei capire, tempestivamente, che non esiste situazione più chiara.
Chiara e conosciuta.

Siamo in pieno inverno e non dovrei fare altro che fuggire, da una qualunque situazione del cazzo simile a questa.
Proietto e vedo solo macerie e quindi non ci penso più.
Finisco di bere la birra e mi accontento, per qualche giorno, di quegli occhi verdi.

La mia memoria vacilla, oggi, mentre le foto si scolorano e, incredibilmente, i pezzi iniziano a cadere, le trame a cedere, le fondazioni a sgretolarsi.

E poi, finalmente, piango. Di gusto.

Laboratori antropologici

Dopo anni, mi ritrovo sul treno.
Eccola lì, davanti a me: una nutrita schiera di esseri umani; di varia umanità (per rubare un tag caro allo Scorfano).

L’arabo si siede, ed inizia a scrivere. Da destra verso sinistra.
Sorride, guarda fuori dal finestrino, guarda la ragazza seduta di fianco a me, una certa Lady Oriente, e torna a scrivere. Da destra verso sinistra.

Arriva, tutto accaldato, un ragazzo nervoso. Si siede, batte il tempo di una tarantella immaginaria, e scrive un messaggio. Batte freneticamente i tasti del telefono, e lo fa seguendo il tempo scandito dal piede.
Poi fa una cosa che mi sconvolge: tira fuori dalla tasca “Il cavaliere inesistente”, e si mette a leggere.

In quarta fila, una badante (che poi non so se davvero sia una badante, intendiamoci) prende il cellulare, fa una telefonata ed inizia a parlare a voce altissima. Sghignazza, poi si placa, infine chiude e resta lì, con un sorriso un po’ ebete, a guardare gli altri umani che finiscono di riempire la carrozza.

Là in fondo, invece, una moltitudine di capelli mossi aggredisce la settimana enigmistica (dovrei scriverlo tra virgolette?).
Scambia alcune parole con un’amica, tra sorrisi divertiti ed altri gesti smaliziati.

Ma i pezzi migliori sono seduti proprio qui, vicini a me.
C’è l’uomo apple, per esempio, che non pago dell’ai-fono, tira fuori l’ai-poddo, ed una cuffia troppo seria (di quelle che riducono i rumori ambientali).
Ha gli occhi rossi ed una cravatta blu, su un gessato senza troppe pretese.

Ecco ancora, di fianco a lui, un personaggio stanco: occhiali di qualche anno fa, uno spezzato vecchio, esausto, ed una capigliatura da venerdì sera.
Vorrei chiedergli: “Te ne fotte ancora qualcosa della vita?”, ma sono troppo impegnato a fotografare tutto.

Mi siedo dando le spalle a ciò che arriva, come ho sempre fatto, e guardo ciò che sto lasciando.
“Sarà un bel post” mi dico “di quelli di qualche anno fa”.

Ma poi il nokia dell’arabo inizia a squillare, sulle note di “Sogno d’amore”.
Eccheccazzo.