Era un amico della cassettina e viaggiava, anche allora, vestendo i panni di un certo decoro.
Come se fosse una persona, qualcuno da imitare, insomma.
Il decoro, intendo.
Più tardi scoprì la poesia di J.M., i suoi testi oltraggiosi, pieni di vita e di alcool e pensò di abbandonare quelle plastiche sonorità che no, non si addicevano ad un liceale (non più imberbe) figlio di una società non ancora catto-comunista.
Passò un’intera stagione a crogiolarsi nelle note della nave di cristallo ed imparò, forse proprio grazie a quelle porte, a riconoscere la malinconia e, in alcuni casi, ad esserle grato.
Scoppiò quando si accorse che il mondo andava più veloce e cercò conforto nel punk londinese.
Ma i tempi cambiarono ancora più velocemente di quella musica e cercò riparo tra le melodie e le strutture armoniche del cantautorato italiano.
Ogni tanto, per evitare di distruggere porte e facce, in preda alle sue fulminanti crisi pantoclastiche, sbatteva il capo contro il metal.
E prima di diventare ciò che è, si riconobbe piacevolmente insensibile e si mise ad assaporare, accompagnato da una amara disillusione, le carezze e le rasoiate del rock d’altri tempi.
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Ci sono vette che non possono essere raggiunte.
E questo è un dato di fatto.
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Il 15 settembre, Waters partirà con il tour “The wall 2010”.
Il giorno del mio compleanno. Il giorno della morte di Rick Wright.
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Sto bene, tutto sommato.