Sul muro di una casa abbandonata

Febbre e nervi scoperti. Sono al freddo. Sono vulnerabile, come un fianco lacerato, nudo, al sole di una primavera insipida e ancora tagliente.
L’ombra gelida, eterna compagna, vorrebbe consolarmi, mentre mi crogiolo in un dolore senza memoria.
Rido, tossisco, bevo, e lascio che l’ennesima sigaretta raschi il fondo della mia gola in fiamme e del mio torace dolorante.
Guardo note e ascolto spartiti che non sanno dirmi molto, in questo frangente.
Questo dolore è un’illusione. Voglio che ci sia, ma in realtà non c’è.
È il corpo che mi limita; forse dovrei sbarazzarmene.

La casa è abbandonata da poco tempo. Forse è riuscito davvero a sbarazzarsi del suo corpo.

Il primo bacio

Oggi… qualche anno fa.

Dicevo.
È sicuramente come scrive lui nel commento al mio post precedente, ma c’è dell’altro; un altro motivo, che mi porta a pensare che la musica non stia facendo il proprio dovere.

Mi chiedo perché le persone arrivino con brani, citazioni, note che, in questo momento, non vorrei ascoltare nemmeno a basso volume e nemmeno da un’altra stanza. O da un’altra città. O da un altro pianeta.

Ecco, non mi era mai capitato. Non mi era mai capitato di non avere il pieno controllo del pulsante “off” e, naturalmente, anche del pulsante “on”.

Basta, per favore. Lo dico per voi, mica per me.
Lo dico per voi, perché potrei incenerire i vostri ai-qualcosa e le vostre belle autoradio.

Lui, lui, l’altra.

[…]”Anche io trovo che la sincerità sia una qualità apprezzabile. Apprezzabilissima.
Chiesi al mio compagno di promettermi di non raccontarmi mai bugie.”
“L’ha fatto? Voglio dire, ha promesso e poi mantenuto?”
“Sì, ma poi aveva iniziato ad omettere, naturalmente. E allora non so più se sia stata una bella idea, la mia. Oddio, avrei dovuto aspettarmelo, sai?”[…]”Io ero così giovane. Sono arrivato vergine al matrimonio. Non tanto per un discorso religioso, quanto perché era una cosa alla quale tenevo moltissimo: mi sembrava potesse essere un dono meraviglioso. Soprattutto per lui. Ero molto innamorato. Non so se mi capisci.”
“Non proprio.”
“Ti dicevo… E insomma io ero così giovane e lui un eterosessuale convinto, più grande di me, e aveva avuto donne bellissime. Ecco, io avevo messo in conto che lui potesse… Era un uomo davvero affascinante.”
“Capisco.”
“Però, per più di quarant’anni sono stato un uomo felice.”
“E le bugie?”
“Sai, quando una persona arriva a mentire è perché vuole proteggere l’altro, quello in più. E vuole farlo perché è diventato l’elemento più importante.”
“Me lo rispieghi, per favore?”
“Voglio dire: se arrivo a mentire o ad omettere per proteggere un altro, vuol dire che quell’altro è più importante di te che sei, ora, davanti a me.”
“Forse ora ho capito e sono d’accordo.”
“Lui, però, in punto di morte, mi raccontò ogni cosa. Pensava che in casa vivessero tante persone. Mi parlava come se fossi una sorella, o una cuoca, o la madre… e mi diceva: “Non raccontarlo a * perché ne soffrirebbe”. Ed io ero lì, immobile, con le lacrime agli occhi e annuivo, mentre gli tenevo la mano.”[…]

* al Nomade – 22 febbraio 2012

KI

Un timbro, un ricordo, facce conosciute.
Qualcuno direbbe anche: “Strani segnali”.

No, bimba, non ho commesso un errore.
“Sei mai stato fidanzato?”
Il sorriso si fa beffardo, poi ironico ed infine irriverente.
“Sì, diverse volte.”
“Scusa, perché ridi?”
“No, così, trovo che sia del tutto irrilevante.”
“Ma te lo chiedo come ti chiederei che musica ti piace, o cose così”.

La notte sta quasi per scomparire, ed io mi ritrovo a pensare che no, non sono cose così, e che davvero non c’entrano niente col nomade che sta respirando in quel momento.

Un timbro, un ricordo, facce conosciute.
Qualcuno direbbe anche: “Strani segnali”.

A te, che, invece, non ti sei fermata per qualche secondo, avrei voluto dire semplicemente “buona vita”, perché incontrarti lì è stato assurdo ed il tuo sorriso mi ha ricordato centinaia di passi e di minuti e di momenti poco sereni.

La notte sta quasi per scomparire, ed io mi ritrovo a pensare ad un mondo che no, non è più qui, ad un mondo che non si arresterà, se non nel collasso del mix di alcolici che mi stanno tenendo leggero. Mi sembra quasi di galleggiare.

E poi mi torna in mente una canzone, mentre mi sorprendo a farmi dare lezioni di vita da una persona che non avrei mai immaginato di incontrare. Una bimba schietta, tagliente, che, domande a parte, qualcosa del nomade ha colto.

Campania-Sardegna A.R.

Mi ritrovo ad ascoltare un dialogo in campano stretto.
Una magia vuole che io capisca ogni singola parola.

(Traduco)

“Così, la settimana scorsa sei stato in Sardegna, eh?”
“Sì, ma ero così stanco che non sono riuscito a partire di domenica. Ho mangiato, mi sono fatto una doccia e poi mi sono addormentato. Sono partito lunedì.”
“Vabbè, avrai guadagnato qualcosa in più, o no?”
“Sì, cento euro. Non male.”
“Ma non sei convinto?”
“Non è che non sono convinto, è che mio figlio non vuole parlarmi più”.

A quel punto mi si gela il sangue…

“Ero al telefono con mia moglie e mio figlio le ha detto che non voleva parlare con quello… È come se al telefono fossi un altro…”

È anche questa la vita degli autotrasportatori.
E per me, un dialogo del genere vale più di mille Monti, più di mille sentenze contro Eternit, più di mille altre parole.

Laboratori antropologici

Dopo anni, mi ritrovo sul treno.
Eccola lì, davanti a me: una nutrita schiera di esseri umani; di varia umanità (per rubare un tag caro allo Scorfano).

L’arabo si siede, ed inizia a scrivere. Da destra verso sinistra.
Sorride, guarda fuori dal finestrino, guarda la ragazza seduta di fianco a me, una certa Lady Oriente, e torna a scrivere. Da destra verso sinistra.

Arriva, tutto accaldato, un ragazzo nervoso. Si siede, batte il tempo di una tarantella immaginaria, e scrive un messaggio. Batte freneticamente i tasti del telefono, e lo fa seguendo il tempo scandito dal piede.
Poi fa una cosa che mi sconvolge: tira fuori dalla tasca “Il cavaliere inesistente”, e si mette a leggere.

In quarta fila, una badante (che poi non so se davvero sia una badante, intendiamoci) prende il cellulare, fa una telefonata ed inizia a parlare a voce altissima. Sghignazza, poi si placa, infine chiude e resta lì, con un sorriso un po’ ebete, a guardare gli altri umani che finiscono di riempire la carrozza.

Là in fondo, invece, una moltitudine di capelli mossi aggredisce la settimana enigmistica (dovrei scriverlo tra virgolette?).
Scambia alcune parole con un’amica, tra sorrisi divertiti ed altri gesti smaliziati.

Ma i pezzi migliori sono seduti proprio qui, vicini a me.
C’è l’uomo apple, per esempio, che non pago dell’ai-fono, tira fuori l’ai-poddo, ed una cuffia troppo seria (di quelle che riducono i rumori ambientali).
Ha gli occhi rossi ed una cravatta blu, su un gessato senza troppe pretese.

Ecco ancora, di fianco a lui, un personaggio stanco: occhiali di qualche anno fa, uno spezzato vecchio, esausto, ed una capigliatura da venerdì sera.
Vorrei chiedergli: “Te ne fotte ancora qualcosa della vita?”, ma sono troppo impegnato a fotografare tutto.

Mi siedo dando le spalle a ciò che arriva, come ho sempre fatto, e guardo ciò che sto lasciando.
“Sarà un bel post” mi dico “di quelli di qualche anno fa”.

Ma poi il nokia dell’arabo inizia a squillare, sulle note di “Sogno d’amore”.
Eccheccazzo.

…/5

Ieri cercavo di capire se vi fosse differenza tra le porte, intese come possibilità, e le porte della mente umana, intese come varchi che ci concedono la possibilità di attraversare le altre porte.

La mia risposta, oggi, è: sì, v’è una sostanziale differenza.
E basta così davvero, perché, nel frattempo, ho anche pensato a quanto non sia necessario enunciare una teoria, giacché l’esperienza, di per sé, è in grado di raccontare e spiegare qualsiasi cosa, e di farlo meglio di un qualsiasi sciorinamento di cazzate ornato di un qualsivoglia artificio retorico. (Che, se ci penso, è proprio quello che non sto facendo in questi quaranta secondi di monologo delirante, ma tant’è.)

Nel frattempo, per aiutarmi, ho ripensato alla teoria dell’eterno ritorno ed alla faticosissima confutazione della stessa, ad opera di Borges.
Alla fine del suo ragionamento, Borges chiude con una perplessità di ordine metafisico: “[…]Accettata la tesi di Zarathustra, non arrivo a capire come due processi identici non finiscano per riunirsi in uno solo. È sufficiente la mera successione, non verificata da nessuno? In mancanza di un arcangelo speciale che faccia i conti, che cosa significa il fatto di attraversare il ciclo tredicimilacinquecentoquattordici, e non il primo della serie o il numero trecentoventidue alla duemillesima potenza? Nulla, nella pratica – il che non nuoce al pensatore. Nulla, per l’intelligenza — il che è già grave.” )

Stiamo attraversando un ciclo. Non importa quale sia il suo numero. Passo indietro.
Converrete che arrivare a tanto, dopo tre capitoli di calcoli e di memorie, pare ‘n po’ ‘na cazzata.

Però alcuni (non molti, solo alcuni) hanno bisogno di parlare e parlare, e dire che è importante, che in effetti è così, che così gira il mondo e che l’universo è infinito ed infinite sono le possibilità. Un altro passo indietro.

Questi alcuni non si risentano, per carità. Lo so che si stanno risentendo, dato che continuano a parlarsi addosso… È inevitabile, così come è inevitabile che il tempo ed ogni cosa ritornino, poiché dei precedenti cicli, signori cari, non abbiamo assolutamente memoria…

Il Nomade

P.s.
Bisogna dire, però, che Borges era più onesto di alcuni. All’inizio de “La dottrina dei cicli” (subito dopo aver ricordato la teoria di Nietzsche) scrive: “[…]Prima di confutarla – impresa di cui non so se sono
capace – conviene concepire, sia pur vagamente, le
sovrumane cifre che essa invoca.[…]”
Ecco, sì, siate onesti, ogni tanto.

(Anche se Marta la esegue nettamente meglio, va detto.)

…/5

Ieri cercavo di capire se vi fosse differenza tra le porte, intese come possibilità, e le porte della mente umana, intese come varchi che ci concedono la possibilità di attraversare le altre porte.

La mia risposta, oggi, è: sì, v’è una sostanziale differenza.
E basta così davvero, perché, nel frattempo, ho anche pensato a quanto non sia necessario enunciare una teoria, giacché l’esperienza, di per sé, è in grado di raccontare e spiegare qualsiasi cosa, e di farlo meglio di un qualsiasi sciorinamento di cazzate ornato di un qualsivoglia artificio retorico. (Che, se ci penso, è proprio quello che non sto facendo in questi quaranta secondi di monologo delirante, ma tant’è.)

Nel frattempo, per aiutarmi, ho ripensato alla teoria dell’eterno ritorno ed alla faticosissima confutazione della stessa, ad opera di Borges.
Alla fine del suo ragionamento, Borges chiude con una perplessità di ordine metafisico: “[…]Accettata la tesi di Zarathustra, non arrivo a capire come due processi identici non finiscano per riunirsi in uno solo. È sufficiente la mera successione, non verificata da nessuno? In mancanza di un arcangelo speciale che faccia i conti, che cosa significa il fatto di attraversare il ciclo tredicimilacinquecentoquattordici, e non il primo della serie o il numero trecentoventidue alla duemillesima potenza? Nulla, nella pratica – il che non nuoce al pensatore. Nulla, per l’intelligenza — il che è già grave.” )

Stiamo attraversando un ciclo. Non importa quale sia il suo numero. Passo indietro.
Converrete che arrivare a tanto, dopo tre capitoli di calcoli e di memorie, pare ‘n po’ ‘na cazzata.

Però alcuni (non molti, solo alcuni) hanno bisogno di parlare e parlare, e dire che è importante, che in effetti è così, che così gira il mondo e che l’universo è infinito ed infinite sono le possibilità. Un altro passo indietro.

Questi alcuni non si risentano, per carità. Lo so che si stanno risentendo, dato che continuano a parlarsi addosso… È inevitabile, così come è inevitabile che il tempo ed ogni cosa ritornino, poiché dei precedenti cicli, signori cari, non abbiamo assolutamente memoria…

Il Nomade

P.s.
Bisogna dire, però, che Borges era più onesto di alcuni. All’inizio de “La dottrina dei cicli” (subito dopo aver ricordato la teoria di Nietzsche) scrive: “[…]Prima di confutarla – impresa di cui non so se sono
capace – conviene concepire, sia pur vagamente, le
sovrumane cifre che essa invoca.[…]”
Ecco, sì, siate onesti, ogni tanto.

(Anche se Marta la esegue nettamente meglio, va detto.)

Quanto sono buoni -a modo loro-

Dopo aver letto questo post dello Scorfano, ho ripensato ad una cosa veramente piccola, ch’è mi è capitata qualche settimana fa.

Ero in via Guido Monaco, comodamente seduto, e stavo aggredendo il kebab più buono del mondo.
Vicini a me si erano seduti due giovani ragazzi.

Uno: “… e insomma, vorrei iscrivermi a questi corsi per fare pronto soccorso”
L’altro: “Ah! E dove li fanno?”

(Nel frattempo ascoltavo e pensavo: “Ma bravo ‘sto citto(*)! Allora un sono tutti ceppi(**)!”)

Uno: “Mah, sono organizzati -in Arezzo (n.d.n.)- dalla Croce Rossa, dalla Misericordia e dalla Croce Bianca”
L’altro: “E tu dove vuoi andare?”
Uno: “Dice che quelli della Croce Rossa ti preparano meglio”
L’altro: “Ma che ti frega, tanto mica ti pagano, vai dove capita!”
Uno: “Non è un discorso di soldi. Ci tengo davvero, dato che non so niente di pronto soccorso. Mi sembra una cosa carina!”

(“Ma bravo citto! Ora mi alzo e gli stringo la mano!”)

Uno: “Solo che devo decidere in fretta, perché tra un po’ iniziano”
L’altro: “Ma non hai un’idea?”
Uno: “Una è la Croce Rossa e l’altra la Misericordia, ma non so. La Croce Rossa è meglio…”
L’altro: “Ma?”
Uno: “Eh, ma la Misericordia è pien de fica”

(*) Ragazzo
(**) Stupidi

Quanto sono buoni -a modo loro-

Dopo aver letto questo post dello Scorfano, ho ripensato ad una cosa veramente piccola, ch’è mi è capitata qualche settimana fa.

Ero in via Guido Monaco, comodamente seduto, e stavo aggredendo il kebab più buono del mondo.
Vicini a me si erano seduti due giovani ragazzi.

Uno: “… e insomma, vorrei iscrivermi a questi corsi per fare pronto soccorso”
L’altro: “Ah! E dove li fanno?”

(Nel frattempo ascoltavo e pensavo: “Ma bravo ‘sto citto(*)! Allora un sono tutti ceppi(**)!”)

Uno: “Mah, sono organizzati -in Arezzo (n.d.n.)- dalla Croce Rossa, dalla Misericordia e dalla Croce Bianca”
L’altro: “E tu dove vuoi andare?”
Uno: “Dice che quelli della Croce Rossa ti preparano meglio”
L’altro: “Ma che ti frega, tanto mica ti pagano, vai dove capita!”
Uno: “Non è un discorso di soldi. Ci tengo davvero, dato che non so niente di pronto soccorso. Mi sembra una cosa carina!”

(“Ma bravo citto! Ora mi alzo e gli stringo la mano!”)

Uno: “Solo che devo decidere in fretta, perché tra un po’ iniziano”
L’altro: “Ma non hai un’idea?”
Uno: “Una è la Croce Rossa e l’altra la Misericordia, ma non so. La Croce Rossa è meglio…”
L’altro: “Ma?”
Uno: “Eh, ma la Misericordia è pien de fica”

(*) Ragazzo
(**) Stupidi