Pentacoli, altroché.

Google Earth, checché se ne dica, è una strepitosa invenzione.
Sapete perché? Perché ci sono persone che, obiettivamente, non sono in grado di muoversi, di viaggiare e di scoprire posti più o meno ameni.
Milano è uno di quei posti, secondo me.
Ora: lanciate Google Earth e scegliete Milano.
Fatto?
Immaginate di atterrare a Milano ed immaginate, per un attimo, di trovarvi di fronte ad una milionata di milanesi (autoctoni e no).
Bene. Immaginate di dover pensare anche solo per un momento al traffico di Milano, al commercio di Milano, ai bar di Milano, alle aziende ospedaliere di Milano, agli impavidi ciclisti di Milano ed ai poveri cristi di Milano.
Fatto?
Bene. Immaginate, per un attimo, che se la mia nonna avesse avuto tre ruote, sarebbe stata un carretto.
Fatto?
Bene. Immaginate, infine, di avere 20 anni compiuti e di ritrovarvi ad essere Sindaco o consigliere comunale in Milano.
Fatto?
Che cazzo direste ai Milanesi?

A margine di questo pseudo-sfogo, vorrei chiedere a chi sa: quanto costano le elezioni ai cittadini?
Quanto costano i ballottaggi? Quanto costa vedere uno che urla e sbraita come una scimmia nelle piazze italiane?
Se il cambiamento e la protesta sono fatti di troppi “se”, forse, e dico forse, è il caso di tenere le balle ferme, i polsi sotto l’acqua fredda e meditare, prima di andare allo sbaraglio semplicemente per…
Per cosa? Io, stupido e gretto, non l’ho ancora capito.

(e lascio stare le reazioni degli altri, che è meglio)

Tra sogno e (dura) realtà

Nel frattempo?
Nel frattempo ero lì ad aspettare l’uscita, in arretrato, del secondo albo speciale di Demian.

Eccolo qui. Decido di ordinarlo.
Qualcosa, però, va storto ed il sito mi segnala l’impossibilità di completare la transazione.

Compongo il numero di telefono dell’ufficio arretrati e mi tuffo nella Bonelli, quasi senza chiedere permesso.

In quel preciso momento, mi rivedo bambino; mi rivedo sul balcone, a casa dei miei, a leggere le avventure di Tex, di Dylan Dog e di tutti gli altri amici che mi hanno accompagnato negli ultimi trent’anni (pochi meno, in realtà).

In quel preciso momento, mi sento in dovere di ringraziare l’uomo e la sua immaginazione.

… ma torniamo pure alla realtà e andiamo a spogliare le schede.
(Spero che il mio Sindaco vinca. E spero vinca alla grande.)

Tra sogno e (dura) realtà

Nel frattempo?
Nel frattempo ero lì ad aspettare l’uscita, in arretrato, del secondo albo speciale di Demian.

Eccolo qui. Decido di ordinarlo.
Qualcosa, però, va storto ed il sito mi segnala l’impossibilità di completare la transazione.

Compongo il numero di telefono dell’ufficio arretrati e mi tuffo nella Bonelli, quasi senza chiedere permesso.

In quel preciso momento, mi rivedo bambino; mi rivedo sul balcone, a casa dei miei, a leggere le avventure di Tex, di Dylan Dog e di tutti gli altri amici che mi hanno accompagnato negli ultimi trent’anni (pochi meno, in realtà).

In quel preciso momento, mi sento in dovere di ringraziare l’uomo e la sua immaginazione.

… ma torniamo pure alla realtà e andiamo a spogliare le schede.
(Spero che il mio Sindaco vinca. E spero vinca alla grande.)

Caro bambino di Gradara

Caro bambino di Gradara,

con la presente sono a lanciarti una miriade di maledizioni, poiché anche tu, come il caro concittadino aretino, non hai saputo guardare più in là della punta del tuo naso, e hai gettato la tua merdosa big babol a circa due metri dal cestino.

Questa volta, però, la cara big babol è finita sotto le mie scarpe nuove.

Caro bambino di Gradara,

puoi ben immaginare il copioso numero di bestemmie che ho lanciato. Ecco: sappi che sarai tu a doverti confessare al posto mio.

Caro bambino di Gradara,

torna a casa e getta la big babol sul tappeto che i tuoi hanno in camera da letto e poi rotolatici sopra e gioisci, perché a quel punto la tua pelle (così come la plastica delle mie scarpe nuove) denoterà sentori di big babol appena masticata, uniti a morbidi toni di saliva di bambino idiota.

Caro bambino di Gradara,

se pensi che l’atto del “lancio in cestino della gomma” possa recarti danni come l’ernia, bè, sappi che tali danni sono nulla in confronto all’effetto che le mie maledizioni riusciranno a sortire a partire dalla pubblicazione di questo post.

Caro bambino di Gradara,

spero che l’uomo nero ti rapisca.

A tutti voi, che avete il maledetto vizio di gettare le gomme per terra, elargisco un generoso vaffanculo.

Ad augusta per angusta. Seh.

Passo da qui, soprattutto quando ho nella testa migliaia di ricordi; e però non riesco a sgravarli, non è proprio il mio forte.

Passo, guardo la pagina -ch’è sempre la stessa- e abbandono qualsiasi tentativo.
Lascio tutto lì, insieme alla mia stanca voglia ed alla sgradevole sensazione di avere qualche conto in sospeso.

Poi, se ci penso bene, mi rendo conto che di conti in sospeso ce ne sono eccome e non si tratta solo di sensazioni.
Allora vorrei sparire e lasciare la mia stanca voglia, la pagina -ch’è sempre la stessa-, insieme ai tentativi e ai conti in sospeso.

Oggi, per esempio, mi sono accorto (troppo tardi, davvero troppo) di aver fatto una cazzata colossale.
D’accordo: chi non fa non sbaglia, ma io non posso e non devo sbagliare.
Il mio errore costerà fatica, denaro e qualche bestemmia.

Così, alle 18.55 circa, abbandono la mia stanca voglia, la pagina -ch’è sempre la stessa, i tentativi, i conti in sospeso ed i miei fallimenti.

Click.

Senza sbattere la porta

– Tornerai a casa, questa sera?
– Penso di sì, ma non so a che ora.
– Ok.
– Ho deciso di prendermi mezza giornata.
– Ah, bene! Prendo anche io mezza giornata, così…
– No, ho bisogno di pensare un po’. Da sola. Credo che andrò al mare.
– Va bene. Ti aspetto per l’ora di cena?
– Non lo so, prima passerò da lui.

Era un giorno d’estate e quel giorno il sole decise di tramontare prima del solito.
Lui tornò a casa e tutto era al posto giusto.
Erano al posto giusto i non colori, erano al posto giusto centinaia di albi già letti, erano al posto giusto le lenzuola e la cassapanca esotica.
L’appartamento, tuttavia, era vuoto, fuori luogo.

– Dove sei?
– Non ti preoccupare, sto per tornare.
– Ok.
– Ok.
– Ma sei ancora lì, da lui?
– Sì.
– Salutamelo.

Le ombre iniziavano ad allungarsi seriamente.
Il buio, o assenza di luce, non concedeva spazi e non scherzava.
(A volte, anche se credi di amarlo, è in grado di ammorbare, di trattenere, di soffocare.)
Quel giorno, era un giorno d’estate, il buio era anche più tenace e capace del solito.
Nemmeno i vicini rumorosi riuscivano a farlo sorridere.
L’automobile percorse il vialetto e si fermò, dopo aver macinato minuti d’asfalto e centinaia di chilometri d’amore.

– Ciao.
– Ciao.
– Come va?
– Alla fine non sono rimasta sola. Sulla panchina si è seduto un vecchietto che ha iniziato a raccontarmi la sua vita.
– Allegorico.
– Ma sì, alla fine l’ho trovato anche simpatico.
– Hai preso una decisione?
– Sì.

L’appartamento, di solito, era fresco, ed una simpatica corrente d’aria muoveva tende e drappi, proiettando giovani riflessi sul pavimento; riflessi passeggeri, che mai sarebbero invecchiati; non lì, quantomeno.
Era una traduzione quasi perfetta del suo pensiero, di ciò che pensava potesse essere quel nido: un’eterna giovinezza amorosa.
Quel giorno, era un giorno d’estate, i riflessi iniziarono ad invecchiare.

– Quindi?
– Ho deciso di lasciarti.

I riflessi sul pavimento, i simboli di un legame spezzato, le lacrime e la rabbia soffocata, il sarcasmo esplosivo, un telefono in frantumi. Una luce spenta. E fuori era quasi buio. Buio sul serio.
A ben vedere, i riflessi erano quelli della luce d’un lampione.
Tutto ciò che era, non sarebbe mai più stato. Mai più.
Lasciò la luce spenta, le lacrime, insieme a lei, sul letto, l’anello sulle parole di un albo già letto e se ne andò, correndo, ma senza sbattere la porta.

A distanza di chilometri, un uomo piangeva al volante ed una donna raccontava quello che era successo: “Mi ha lasciata al buio”.

È libera, nessuno può fermarla.

e vabbè, ma chi voleva sapere sa, poi chi non vuole capire… dai… cosa vuoi informare di più? Si sa tutto…

there is only one thing in the world worse than being talked about, and that is not being talked about

Creare un movimento

Cubino: “mi domandavo… ma oggi come oggi, più che ricordare, non dovremmo fare?
mh…”
Nomade: “I ricordi sono una connessione con il passato. Non pensare al passato, di solito, è il modo migliore per agire in maniera sbagliata.
Di solito.”

Fate largo!

Siete stati mai a Padova? Avrete sicuramente notato che ci sono molte piste ciclabili.
La loro architettura lascia un po’ a desiderare, però ci sono ed i ciclisti le usano. Quando non ci trovano auto comodamente parcheggiate, si intende.

Poco fa, di ritorno con la mia adorabile meraviglia (Marta, non la bicicletta), incrociamo il passo stanco di due piccoli indiani.
Occupano la pista, mentre portano, a mano, le proprie bici.

Suono con delicatezza il campanello, loro si scansano, io passo e dico “Grazie!”, con un sorriso. E loro? Indovinate un po’? Loro dicono “Prego!”.

Proseguiamo e penso ad una cosa: se fossimo tutti un po’ più cortesi, probabilmente gli uomini di altri paesi, che giungono qui, vivrebbero meglio e, foss’anche nella miseria, vivrebbero più sereni.
Noi stessi saremmo più sereni e meno, come dire, sospettosi.
Sì, sospettosi.

Sia chiaro: non elargisco mai sorrisi, e dico MAI, se non sono sinceri.
Ciao, neh.

Gabbiani ipotetici

Ogni volta, lacrime.
Ciao, Signor G.

P.s.
3000 visualizzazioni sono mie.