Che ne pensa i’ tu babbo #2

Le colichette

In senso stretto, le colichette neonatali (o colichètte, al nord) sono come Babbo Natale: non esistono.

Dannate colichette.

Tua figlia inizia a strillare, apparentemente senza una ragione, ed eccola che arriva: una voce fuori campo, tonante e prepotente:
Ah! Saranno le colichette! Anzi: sono di sicuro le colichette!“.

Se c’è una cosa che ho imparato in queste poche settimane è che il pianto quasi inconsolabile di mia figlia può essere arrestato solo ed esclusivamente da una vigorosa e generosa poppata.

Ambulatorio pediatrico, sala d’attesa.
Agnese inizia a strillare (non aveva fatto colazione). Parentesi. A volte incastrare poppate e appuntamenti è estremamente complicato, ma miglioreremo. Chiusa parentesi.
Al secondo “UUUAAAAHHHHHHHH” arriva la voce fuori campo. La inquadro: appartiene a una nonna.
Eh, avrà sicuramente qualche colichetta
“No, signora, guardi… è che stamat”
E sì, ha proprio le colichette
“No, signora, stavo dic”
Sì, sì, è proprio un pianto da colichette
“In verit”
Eh, ma non può farci mica niente, sa?
“Sì, signora, probabilmente saranno le colichette”

Alla fine ho ceduto, ma una parte di me avrebbe voluto dirle: “Signora, è che lei sta veramente sul cazzo a mia figlia, ma non può dirlo con le parole, così si è messa a strillare”.

Che ne pensa i’ tu babbo #1

Le visite

Nel frattempo che cosa è successo? L’emergenza COVID è stata superata, in tempo di COVID siamo convolati a giuste nozze (correva l’anno 2020) e quest’anno, attesa e inaspettata (per citare un cantante che mi garbava parecchio, ma che ora mi sta un po’ NEL cazzo), è arrivata Agnese.

Tra le tante cose che puoi fare quando sei genitore, ce n’è una in particolare che ti può consentire di vivere al meglio la tua genitorialità, anche e soprattutto quando quest’ultima è “neo”.

La cosa è: non ascoltare i pareri delle altre persone, soprattutto se si tratta di genitori (!). E mi riferisco a qualsiasi parere: la bimba può ricevere visite, se/come/quando/perché fare/non fare i vaccini, battesimo, nome, cognome, “fa freddo, dai, vestila così!”, et cetera.

Ora. Agnese non ha nemmeno due mesi e tu (zio, nonno, amico, conoscente, datore di lavore, sindaco, Fraccazzo da Velletri) vuoi venire a trovare la mi figliola.
No, cazzo! Stattene a casa tua! Non è il momento!
Va bene, cercherò di essere meno intransigente e meno burbero…
“Okay, dai, va bene, passa pure domenica, ma non posso ospitarti a pranzo né tanto meno a cena…”
“Va bene, figata, dai! Domenica ci vediamo, COSÌ CONOSCO LA PICCOLETTA!”

Ora: a parte il fatto che “Piccoletta” la chiamo io, mi chiedo che cosa ti aspetti da questa visita… Me lo chiedo perché proprio non riesco a immaginarlo. Voglio dire: mia figlia è prepotentemente bonazza, ha un mare di capelli e la cresta e fa un sacco di versi e… basta, direi. Sì, okay, ci sono anche le cose che fanno tutti i neonati e gli acerbi infanti: mangia, caca, piscia e dorme. Entusiasmante.
“Uelà! Auguri, Papi!”
E io già ti vorrei dare fuoco.
“Ecco, ti presento Agnese…” (Accenno un mezzo sorriso)

Ed ecco che arriva la risposta alla mia domanda:
“Uuuuuuhhhhhhhhhhhhh, ma guarda che carina! Uh! Ma muove le braccine!”
e un’altra serie infinita di minchiate. Ma è quel “muove qualcosa” che mi fa veramente ribollire il sangue. Ma brutto deficiente! Ma pensavi che mia moglie avesse partorito una statuetta di marmo?!

Ecco, a quel punto tu vorresti dire tante, tantissime cose brutte, ma non lo fai.

E nel frattempo, Piccole’, i’ tu babbo continua a guardarti e a pensare che domani ti farà leggere queste cose. Tu forse riderai, forse non lo farai, ma sicuramente penserai: ma davvero venivano a trovarmi ‘sti rincoglioniti?

Una domanda

Mi chiedo se davvero avremo qualcosa da raccontare, domani, ai nostri figli e ai nostri nipoti. Mi chiedo se tutto questo frastuono verrà sommerso, domani, dal solito baccano e dalle solite urla dei nostri miseri e tanto umani bisogni.

Mi chiedo se, fra duecento anni, qualcuno scriverà dello psico-dramma e del dramma reale, che in queste settimane stanno toccando tutti. Pare anche Trump.
Chissà se qualcuno scriverà di questi due promessi sposi.

Intanto un sorriso e poi si vedrà. O si leggerà.

L’amore ai tempi del coronavirus

Ah, è già stato scritto. Che poi, a voler essere rompicoglioni, non è il coronavirus con la c maiuscola. Come dite? Okay, okay.

Veloce riassunto delle puntate precedenti:
il mio 2020 non è partito con buoni propositi perché, a dirla tutta, i miei buoni propositi risalgono a maggio del 2019.

Rewind.
Il 13 maggio scrissi a un amico. Gli chiesi di chiamarmi, perché avevo bisogno di dirgli una cosa. Difficilmente ho bisogno di dire una cosa. Quando si ha bisogno di dire una cosa? Mi vengono in mente i bimbi, per esempio, quando fanno scoperte, quando vengono a conoscenza di verità sconvolgenti. “Babbo, babbo! Senti che cosa ho scoperto!”. Una cosa così.

Il 13 maggio ero tornato bambino.

L’amico mi chiamò e io gli dissi che avrei chiesto a F. di sposarmi. E così feci: il 30 maggio del 2019 chiesi a F. di sposarmi. E lei mi disse “sì”, annuendo con la capoccetta, con gli occhi lucidi e col brillocco al dito.

E sapete una cosa? Abbiamo preparato tutto e il 30 maggio 2020 è vicino.

Però.

Invece di goderci le ultime settimane, di aspettare con gioia quel momento, siamo qui, in casa, a sentire le parole di Conte, di Burioni… a leggere le notizie diramate dalle tv, dai giornali.

In questi giorni ho solo un desiderio: che le persone restino a casa. Perché, sì, cazzo, sono egoista e vorrei tanto, in data 30 maggio 2020, convolare a giuste nozze.

Mannaggialaputtana.

#CheNeSannoI2000

E basta!
Perdonate lo sfogo.

Da diverso tempo, gli anziani della rete, e non solo quelli della rete -e non solo gli anziani, in verità-, pronunciano questa frase: “Ma che ne sanno i 2000!”.
Questa frase è diventata, tra le altre cose, un hashtag, hashtag che battezza vignette, immagini o brevi racconti di cose che furono e che oggi non sono più e che, naturalmente, i ragazzi nati dal 2000 in poi non hanno vissuto e non potranno vivere (e meno male?).

Gli argomenti rispolverati sono tanti: le mode -oscene- degli anni ’80, le “notti magiche, inseguendo un gol”, le sigle dei cartoni animati di una volta, et cetera. Potrei andare avanti all’infinito, ma non lo farò -anche se la tentazione è forte- e mi soffermerò su un solo elemento.
Non nego di aver provato una certa nostalgia e di aver accennato un mezzo sorriso, nel momento in cui ho visto, per la prima volta, questa immagine:

La prima volta. Dopodiché, i miei due mezzi neuroni hanno iniziato a lavorare.
Perché i 2000 dovrebbero saperlo? Perché fargli pesare il fatto di non aver provato a riavvolgere un nastro? Perché ironizzare su quella che pensiamo possa o, addirittura, debba essere una lacuna?

In giovine età ho letteralmente consumato la musicassetta di “Master of puppets” dei Metallica.
Ascoltavo l’album andando a scuola, sul mio cinquantino mezzo scassato (e sì, avevo ancora i capelli e il casco non era obbligatorio).

Avevo un walkman già abbastanza evoluto: aveva la funzione dell’autoreverse! Questa funzione evitava di doverlo necessariamente aprire per girare il nastro e iniziare ad ascoltare l’altro lato. Di contro, non era in grado di determinare la fine di una traccia e l’inizio della successiva (ne ho visti pochi di quei walkman, ma vi assicuro che esistevano -ah, maledetti ricconi-).

Vi elenco le tracce del lato A e del lato B di quell’album (perdonate l’approssimazione del modello, non è in scala e non è a colori):

Lato A
Battery
Master of puppets
The thing that should not be
Welcome home (sanitarium)

Lato B
Disposable heroes
Leper messiah
Orion
Damage, Inc.

Pensateci un attimo. Voglio dire: siamo giunti all’ascolto di “Leper messiah”, ma, per un motivo inspiegabile, vogliamo riascoltare “Master of puppets”.
Fate i vostri calcoli e memorizzate le possibili combinazioni per poter ritornare al punto esatto del lato A.

Tutto bello. Viva la nostalgia, che, ogni tanto, ci fa sguazzare nel passato, e viva le musicassette! Ma che rottura di coglioni, ça va sans dire.
E fategli vivere il presente in pace, a questi beati 2000.

FFW

Tra una tesi e l’altra

Non so, esattamente, come mi sia balenata per la testa l’idea di usare quell’orribile carattere per i titoli dei miei articoli; sta di fatto che non riesco a eliminarlo. [AGGIORNAMENTO: sono riuscito a eliminarlo.]
La cosa più grave è che, il 99% delle volte, non mostra nemmeno i miei amati segni di interpunzione. E che cazzo punto
Va detto, inoltre, che la mia pigrizia mi impedisce di cercare aiuto su google.
“Non devi immaginare, devi fare search” (Stefano docet).
E chi cazzo è Stefano? Vabbè, è un amico. Voi lo sapete che noi terroni ci teniamo assai al nome di battesimo; potrei scrivere un articolo solo su questo, in effetti.
E invece no.

Passavo di qui, per dare un’occhiata alle macerie delle mie idee (brevi periodi, lettere piene di lacrime e frasi sospese tra il grottesco e il tragicomico).

Che cosa è successo nel frattempo?
Nel frattempo ho lasciato la Toscana e sono tornato a Roma.
Nel frattempo ho cambiato lavoro, ho ricomprato la moto e ho iniziato un nuovo viaggio.
Nel frattempo mi sono abbuffato di concerti: Battiato, Silvestri, Silvestri, Silvestri, Silvestri, Silvestri, Gazzè, Fabi, Lady Gaga e Tony Bennett, David Gilmour, Otto Ohm e tra qualche mese i Depeche e di nuovo Silvestri e ancora Gazzè.
E tanti altri ancora, primaduranteedopo.
Nel frattempo ho rivisto la mia vecchia casa, rivisto facce che non avrei voluto rivedere, sentito cose che, mio malgrado, ho dovuto ascoltare.

Gli anni passano e risulta sempre più difficile riprendersi dopo un viaggio.
Così, lascio che sia la mia testa ad andare (che è andata “da mò”, ma va bene così).

E nel frattempo, mentre scrivo velocemente al mio portatile, un’altra persona sta scrivendo la propria tesi, mentre io faccio le mie ipotesi e mentre Battiato risuona nella testa, durante la lettura di altri blog e la scrittura di questa ennesima inutilità.

Bisous.