Come il vento a novembre

Un giorno passato a pensare all’indelicatezza della sincerità.
Un giorno passato a smaltire una sensazione che non mi appartiene.
Un giorno passato a pensare che non ho più segreti, né limiti, né confini.
Un giorno passato. L’ennesimo. Lontano da chiunque.

Una notizia sul giornale.
C’è meno transito, ultimamente. I lampioni lavorano di meno, come le ombre, i marciapiedi possono tirare un sospiro di sollievo, i comignoli iniziano a sbuffare e anche io, vedendoli, mi metto a sbuffare.

Fumo.
C’è meno fumo, ultimamente. I posaceneri riposano, sognando d’ardere come tizzoni, il terrazzo non mi riconosce più, tutte le luci stanno fuori ad attendere il mio ritorno.

Un treno.
Vorrei salirci adesso, magari contrarre una malattia epidermica (“what don’t kill you make you more strong”), tuffarmi con orecchie e cuore tra le carezze e le rasoiate delle canzoni di quei quattro cavalieri.

Un gentiluomo.
Così il mio pensiero si scusa con le mie orecchie, e consiglia l’ascolto di musica nuova. Qualsiasi cosa. Basta che sia “post”, direbbe un caro amico. Sigur, dico io. Rós, dice l’altro. Leggerezza e delicatezza.

Una gentildonna.
Rivesto l’ambiente di tappeti sonori, di immagini di luoghi freddi e di luci buie, che faticano a star dietro al passo della notte.

Oscurità.
Ci ritorno, dopo aver passato un giorno ad ascoltare musica.
E a tendere a non desiderare più nulla.
(E ad avercela quasi fatta.)

Karma Police a Firenze

Non so che cosa dire. Sul serio.
Per la prima volta in vita mia (negli ultimi vent’anni ho assistito a concerti d’ogni genere), sono rimasto a bocca aperta.
I Radiohead.
Non ho altro da aggiungere.

:O

Quando è il caso di esclamare “MINCHIA!”

Flash

“Penso che insieme siano bellissimi.”
“Ma chi, Andrea e Stefano?”
“Deh, ma sei ‘gnorante forte. Ma no! Andrea ed Eliana!”
Mi avvicino a Eliana: “Credo che Stefano stia insidiando il tu’ omo. Io te lo di’o, poi te tu fa’ quel che ti pare, eh!”

Il pianista attacca. Male, ma attacca, partendo con Dalla. Ok, Lucio, ma perché proprio questa sera?
Poi Morandi. Mh. Mah. Boh. Infine Paoli.

“Ecco, se ora ne canta una di Zarrillo (e la curva sarebbe perfetta), mi faccio direttamente in vena.”
In trenta minuti, la platea non fa altro che gridare il mio nome.
“No, ragazze, non sono in vena. Sto mangiando, bevendo e fumando in santa pace. Su, lasciatemi stare.”

MG mi prende alle spalle: “Ti prego, vai a cantare tu. Ti prego.”
Guardo il buon PP e gli chiedo: “Che cosa ne dici, mi sono fatto desiderare abbastanza?”
Flash. (Ma è passato e non ha senso tirarlo in ballo in questo momento)
Un’amica incalza: “Dai, fatti sentire, tutti dicono che hai una bella voce.”

Mi alzo, prendo il microfono, e dedico una canzone agli ometti seduti lì. Perché loro potranno dedicarla alla donna che amano.
Flash.

Mi commuovo, ma gli occhi non diventano lucidi. Non piango più, avrebbe cantato Rouge.
Flash.

Ogni volta è un aneddoto, tra una nota, una parola, una sigaretta e un respiro profondo.
“Grazie. Vorrei baciarti, ma tu non vuoi…”
“Bè, dai, forse in un’altra vita. E comunque non l’ho dedicata a te.”
“Sì, no, lo so, però l’ho sentita parecchio.”

Faccio un gesto strano, che significa, più o meno, “ok, adesso lasciami in pace.”
Riprendo in mano il bicchiere, guardo dritto davanti a me, accendo un’altra sigaretta.
Flash.

La cena sta per finire, la musica anche.
“Bravo davvero!”
“E grazie, anni e anni d’esperienza sotto la doccia…”
“No, dico sul serio!”
“Anch’io.”

Buonanotte e baci e il tempo delle cattedrali che crolla, insieme alla luna nel cielo.
“Ma no, che pirla, non è mica crollata, si è soltanto girata dall’altra parte.”
Flash.

Via Larga, 19/bis

No, non esiste il civico /bis.
E allora? Allora non vi ho raccontato tutto.
Come?! No, non ho conquistato il cuore della cameriera.
Quindi… No, nemmeno quello della mia amica E.

Prima di giungere in via Larga (19, senza il bis), siamo passati da quella piazza lì (quella del Duomo, per intenderci).
E. mi ha guardato (quasi)sconvolta: “La senti questa musica? Ma… non sarà mica Max?!?”
Ebbene sì, signori miei: lì, a pochi metri da noi, c’era Max Pezzali con la piccola orchestra di Radio Italia.

Diciamo le cose come stanno: io impazzivo per le cassettine gialle e rosse degli 883, ma non ho mai potuto ascoltarli dal vivo.

E così ho abbracciato E., e sulle note di “Come mai” mi sono commosso.

Che pirla.

Impressioni di maggio

Così, prima di cercare quello che avrei voluto cercare, ho suonicchiato “Impressioni di settembre”.
A parte Robert Moog, a parte una serie di ricordi (abbastanza vintage -letto alla francese, vi prego-), a parte l’aver dato fastidio ai colleghi, a parte tutto questo, ho pensato che mi manca un sacco l’eleganza di Flavio Premoli.
Buona musica a tutti.

The Dark Nomad VS SLES 11/bis

1-0.
(Sì, mi sto bullando; voi non mi vedete, ma in questo momento sto davvero camminando ad una spanna da terra.)
Scritto ciò.

Un po’ di tempo fa, il Disagiato scrisse che i Sigur Ros fanno piangere da quanto sono bravi, ed io non posso che essere d’accordo.

Oggi ho deciso di donare un po’ del mio danaro a quel fenomeno di Jónsi ed al suo compagno (uno degli acquisti migliori degli ultimi mesi, va detto).
E direi che l’occasione è giusta, per lasciarvi una traccia che non dovrebbe far piangere (considerando il titolo), e invece…

Buon ascolto.

Nulla di nuovo, naturalmente

Un migliaio di chilometri, qualche litro d’alcol, e qualche sana risata.
Questo il bilancio delle mie vacanze che, finalmente, sono terminate.
Arezzo si ripresenta esattamente nel modo in cui l’avevo lasciata.
Le pareti del mio appartamento non annunciano novità importanti.
Eppure, mi dico, qualcosa è cambiato.

Buonanotte, gente.

Connettori Batman

Tra le cose che non sopporto ci sono gli anagrammi. (In cima alla lista ci sono gli acronimi, ma questa è un’altra storia, una storia legata agli anglicismi.)

Oggi ho scoperto che quei ceppi dei miei colleghi hanno perduto -non si sa come- 9 cavi con connettori bantam e rj45, che, a comprarli già fatti, costerebbero circa 70 euro “il cadauno” (avrebbe detto un principe, una volta).

Ma non è questa la storia che voglio raccontare, in realtà.
E non è nemmeno il fatto che, da oggi, quei connettori non siano più bantam, ma batman.
No.

Un passo indietro, Maestro. Grazie.

Torno a casa e, durante il breve viaggio, decido di rispolverare un po’ di vecchia musica. Che è vecchia solo anagraficamente, va detto.
La rispolvero, ben sapendo che non gioverà affatto al mio umore.

Voglio togliere quel po’ di polvere che serve a rendere magiche le cose, quella polvere che restituisce un certo gusto, quando la guardi; perché è proprio questa la magia: la osservi, ma in realtà senti qualcosa in bocca; dopo qualche istante quel qualcosa lambisce la gola e poi arriva allo stomaco, transitando, naturalmente, nei dintorni del muscolo cardiaco. E non lo fa con la presunta pacatezza delle parole che tentano di descrivere quel movimento (sarebbe meglio pensare ad un pugno allo stomaco, in realtà).

Non basta, però. Non è sufficiente pensare a quella musica, mi dico.
Ci vuole una canzone in particolare. Devo rendere nudo quell’oggetto, scoprire una ferita, rivedere la carne viva ed infine curare.

Le nubi sono basse, i poggi tinteggiati d’un verde cupo, i ciliegi esterni sono timidi, ma presenti. L’aria sembra arancione e, nonostante il maltempo, restituisce un certo calore.

“Ci vuole quella canzone”, dico ad alta voce (come se stessi parlando ad una interlocutrice, che ormai non esiste più da anni).
Penso ai suoi occhi. Gli occhi più tristi che abbia mai visto.

E penso all’aria che c’era quel giorno, molto simile a quella che sto attraversando adesso, ed al fatto che quella canzone fosse lì, in loop, non so per quanto, mentre si diceva, si pensava e si sospirava il nostro amore.
La canzone sfuma e ripenso a quei corpi lontani, a quei battiti spenti, a quel sudore asciugato da anni e tutto, dopo aver dissolto la malinconia, mi sembra terribilmente normale.

Nasce, cresce, finisce.
Musica, Maestro.