Senza sbattere la porta

– Tornerai a casa, questa sera?
– Penso di sì, ma non so a che ora.
– Ok.
– Ho deciso di prendermi mezza giornata.
– Ah, bene! Prendo anche io mezza giornata, così…
– No, ho bisogno di pensare un po’. Da sola. Credo che andrò al mare.
– Va bene. Ti aspetto per l’ora di cena?
– Non lo so, prima passerò da lui.

Era un giorno d’estate e quel giorno il sole decise di tramontare prima del solito.
Lui tornò a casa e tutto era al posto giusto.
Erano al posto giusto i non colori, erano al posto giusto centinaia di albi già letti, erano al posto giusto le lenzuola e la cassapanca esotica.
L’appartamento, tuttavia, era vuoto, fuori luogo.

– Dove sei?
– Non ti preoccupare, sto per tornare.
– Ok.
– Ok.
– Ma sei ancora lì, da lui?
– Sì.
– Salutamelo.

Le ombre iniziavano ad allungarsi seriamente.
Il buio, o assenza di luce, non concedeva spazi e non scherzava.
(A volte, anche se credi di amarlo, è in grado di ammorbare, di trattenere, di soffocare.)
Quel giorno, era un giorno d’estate, il buio era anche più tenace e capace del solito.
Nemmeno i vicini rumorosi riuscivano a farlo sorridere.
L’automobile percorse il vialetto e si fermò, dopo aver macinato minuti d’asfalto e centinaia di chilometri d’amore.

– Ciao.
– Ciao.
– Come va?
– Alla fine non sono rimasta sola. Sulla panchina si è seduto un vecchietto che ha iniziato a raccontarmi la sua vita.
– Allegorico.
– Ma sì, alla fine l’ho trovato anche simpatico.
– Hai preso una decisione?
– Sì.

L’appartamento, di solito, era fresco, ed una simpatica corrente d’aria muoveva tende e drappi, proiettando giovani riflessi sul pavimento; riflessi passeggeri, che mai sarebbero invecchiati; non lì, quantomeno.
Era una traduzione quasi perfetta del suo pensiero, di ciò che pensava potesse essere quel nido: un’eterna giovinezza amorosa.
Quel giorno, era un giorno d’estate, i riflessi iniziarono ad invecchiare.

– Quindi?
– Ho deciso di lasciarti.

I riflessi sul pavimento, i simboli di un legame spezzato, le lacrime e la rabbia soffocata, il sarcasmo esplosivo, un telefono in frantumi. Una luce spenta. E fuori era quasi buio. Buio sul serio.
A ben vedere, i riflessi erano quelli della luce d’un lampione.
Tutto ciò che era, non sarebbe mai più stato. Mai più.
Lasciò la luce spenta, le lacrime, insieme a lei, sul letto, l’anello sulle parole di un albo già letto e se ne andò, correndo, ma senza sbattere la porta.

A distanza di chilometri, un uomo piangeva al volante ed una donna raccontava quello che era successo: “Mi ha lasciata al buio”.

È libera, nessuno può fermarla.

e vabbè, ma chi voleva sapere sa, poi chi non vuole capire… dai… cosa vuoi informare di più? Si sa tutto…

there is only one thing in the world worse than being talked about, and that is not being talked about

Creare un movimento

Cubino: “mi domandavo… ma oggi come oggi, più che ricordare, non dovremmo fare?
mh…”
Nomade: “I ricordi sono una connessione con il passato. Non pensare al passato, di solito, è il modo migliore per agire in maniera sbagliata.
Di solito.”

Il presidente contro la cultura

Mi (e vi) basti pensare e ricordare che una volta (quando ancora non c’erano le puttane ed il suo fido guardasigilli) sua eccellenza disse “Verba manent”.
Fine.

Fate largo!

Siete stati mai a Padova? Avrete sicuramente notato che ci sono molte piste ciclabili.
La loro architettura lascia un po’ a desiderare, però ci sono ed i ciclisti le usano. Quando non ci trovano auto comodamente parcheggiate, si intende.

Poco fa, di ritorno con la mia adorabile meraviglia (Marta, non la bicicletta), incrociamo il passo stanco di due piccoli indiani.
Occupano la pista, mentre portano, a mano, le proprie bici.

Suono con delicatezza il campanello, loro si scansano, io passo e dico “Grazie!”, con un sorriso. E loro? Indovinate un po’? Loro dicono “Prego!”.

Proseguiamo e penso ad una cosa: se fossimo tutti un po’ più cortesi, probabilmente gli uomini di altri paesi, che giungono qui, vivrebbero meglio e, foss’anche nella miseria, vivrebbero più sereni.
Noi stessi saremmo più sereni e meno, come dire, sospettosi.
Sì, sospettosi.

Sia chiaro: non elargisco mai sorrisi, e dico MAI, se non sono sinceri.
Ciao, neh.

Gabbiani ipotetici

Ogni volta, lacrime.
Ciao, Signor G.

P.s.
3000 visualizzazioni sono mie.

Qualcuno mi saving dagli anglicismi/bis

Dalla sezione “notizie riservate”, un piccolo estratto contenente genuine commistioni linguistiche:

[…]In un ottica di maggior “caring” e presidio “end-to-end” dall’iniziale progettazione fino alla consegna dei servizi[…]

Perché?!

Moka o espresso?

Senz’altro “moka”, ma un caffè che si rispetti dev’essere mescolato, prima d’essere servito.

Ora, usatemi la cortesia di pubblicare questa cazzata su un qualsiasi “colonnino” di un qualsiasi quotidiano online.

(no, perché sono temi importanti, mica il Giappone e la Libia. Ah, che pirla: a ben vedere, se li cerchi – il Giappone e la Libia, intendo – ci sono ancora. Sul mappamondo.)

Moka o espresso?

Senz’altro “moka”, ma un caffè che si rispetti dev’essere mescolato, prima d’essere servito.

Ora, usatemi la cortesia di pubblicare questa cazzata su un qualsiasi “colonnino” di un qualsiasi quotidiano online.

(no, perché sono temi importanti, mica il Giappone e la Libia. Ah, che pirla: a ben vedere, se li cerchi – il Giappone e la Libia, intendo – ci sono ancora. Sul mappamondo.)

Tool, il nuovo album

Anche RollingStoneMagazine riporta la notizia.
C’è un errore clamoroso nell’articolo, ma non importa: tanto so che sono dei cazzari immondi.

Et voilà