Nomadiade

Sarà la bellezza a salvarmi, quando non avrò più il soffio vitale, e allora saranno solo le mie ceneri a sussurrare.
O forse, ancor prima, il canto di una delle sirene di Ulisse, poiché in quel momento sarò deriva, e non natante, a trasportare quello che cercano altri migranti, o viandanti occasionali, tra flutti umorali secreti da me.
Sarà la notte a salvarmi, in un più recente contesto urbano, con il suono di note taglienti e canti strozzati, graffianti, per niente melodici.
Sarà la gomma bruciata, tra le curve fatte di sassi e sterri, e qualsiasi altra strada nuova che non conosco.
Sarà, in una dimensione che non conosco, il nuovo soffio vitale a destarmi, e a ricondurmi qui, tra queste pagine, che altro non sono che lacrime e non colore. E ombra.

It’s another sad song that moves like a train

Mi spiace, ma ho esaurito tutte le scuse possibili e immaginabili.
No, non mi sto riferendo alla mia presunta incapacità di provare sentimenti, ma al prossimo venditore ambulante di rose, al quale, davvero, non saprò più che cosa raccontare. Aiuto.
Scritto ciò.

Ascoltare, condividere, dissentire. Magari, mediare. Tenere a bada i ricordi (e i venditori ambulanti di rose) e riuscire a sorridere e a ridere di gusto.
Non me l’aspettavo, devo essere… sincero.
A voler essere ancora più sincero, avrei voluto che questa giornata fosse interminabile.
Avrei voluto lasciare più spazio alla calma, e dare qualche lunghezza alle tante parole, inserendo opportune pause di silenzio.
Infine, riuscire a guardare quegli occhi così intensi, per alcuni istanti in più.

Queste parole stanno qui, tra Arezzo e Saint-Malo. Sono apparentemente differenti da come, in alcuni contesti, vorrei dipingerle, ma in realtà sono facce e rovesci della stessa medaglia. Nella via di mezzo, stanno. Sorridenti, anche se la tastiera vorrebbe mostrarne solo il lato oscuro. Non sai quanto sorridono.

Grazie della fiducia. Grazie di cuore.

Nightfall in Middle Earth

Correva l’anno 1998.

“Oh, hai sentito che è uscito il nuovo album dei Blind Guardian?”
“Eh, sì.”
“Ma che cos’è “Mirror Mirror”?!”
“Gran pezzo, già.”

Però, insomma, io ero legato ai nostri cantautori, e quindi preferivo brani meno “power” e meno “speed”.
Sono sempre stato affezionato alle “ballad” (poi la smetto con gli anglicismi, giuro).
E poi, in quel periodo, ero rapito da “Up” dei R.E.M., ma quella è un’altra storia.

Così, di Nightfall, ascoltavo a ripetizione “The minstrel”, un mini-brano, del quale scrissi i versi in ogni dove.

Buonanotte, gente.

So I stand still
In front of the crowd
Excited faces
What will be next?
I still don’t have a clue

Incredibile

“Perché l’argento, sai, si beve, ma l’oro si aspetta.”

D’altro canto, non posso far finta di non conoscere quell’altro detto: “Non è tutto oro quel che luccica.”
Così, diversi mesi fa, ho smesso di aspettare.
Avevo quasi smesso di desiderare. Qualche giorno fa, in verità, ci sono anche riuscito.
Immaginatemi così, seduto su una colonna, al di sopra di qualsiasi sentimento riconducibile all’amore.
Un brivido.

Ma.
Per caso, direi, ma anche un po’ per volontà, m’è capitato di imbattermi in una storia d’amore che, a pensarla tutta insieme -dalla nascita, fino alla fine-, mi ha fatto venire il mal di testa, e i crampi al cuore.
I motivi sono svariati. Magari l’avevo già vista, già sperimentata.
Magari, invece, assomigliava tanto ad una sceneggiatura scritta a sei mani, da Lynch e dai fratelli Coen: un concentrato di surreale durezza. E non saprei tirar fuori una sintesi migliore di questa.

Perché?
Perché mi ci dovevo imbattere proprio io? Un nomade per scelta, oscuro per necessità (come scrissi in altro loco, diverso tempo fa), dovrebbe starsene in disparte, e smettere di assorbire ragioni e follie di quella cosa lì. L’amore (se lo scrivo un’altra volta, mi metto a urlare).

Nonostante le parole e i pensieri a metà, esiste ancora una forma di fiducia che viaggia e, ogni tanto, si ferma, per accarezzare le persone e farle sorridere. O piangere.
Nonostante tutto, qualcosa è arrivato a questa porta. Inaspettatamente.
E lei, scoprendosi così, si è rivelata incredibile.
Forse, qualcosa esiste ancora, là sotto. (Sotto la colonna, intendo.)

Non so se scendere, però, anche solo per un sorriso. I rischi sono tanti. E l’abbandono, anche senza andare più in là dell’amicizia, sempre dietro l’angolo…

Come il vento a novembre

Un giorno passato a pensare all’indelicatezza della sincerità.
Un giorno passato a smaltire una sensazione che non mi appartiene.
Un giorno passato a pensare che non ho più segreti, né limiti, né confini.
Un giorno passato. L’ennesimo. Lontano da chiunque.

Una notizia sul giornale.
C’è meno transito, ultimamente. I lampioni lavorano di meno, come le ombre, i marciapiedi possono tirare un sospiro di sollievo, i comignoli iniziano a sbuffare e anche io, vedendoli, mi metto a sbuffare.

Fumo.
C’è meno fumo, ultimamente. I posaceneri riposano, sognando d’ardere come tizzoni, il terrazzo non mi riconosce più, tutte le luci stanno fuori ad attendere il mio ritorno.

Un treno.
Vorrei salirci adesso, magari contrarre una malattia epidermica (“what don’t kill you make you more strong”), tuffarmi con orecchie e cuore tra le carezze e le rasoiate delle canzoni di quei quattro cavalieri.

Un gentiluomo.
Così il mio pensiero si scusa con le mie orecchie, e consiglia l’ascolto di musica nuova. Qualsiasi cosa. Basta che sia “post”, direbbe un caro amico. Sigur, dico io. Rós, dice l’altro. Leggerezza e delicatezza.

Una gentildonna.
Rivesto l’ambiente di tappeti sonori, di immagini di luoghi freddi e di luci buie, che faticano a star dietro al passo della notte.

Oscurità.
Ci ritorno, dopo aver passato un giorno ad ascoltare musica.
E a tendere a non desiderare più nulla.
(E ad avercela quasi fatta.)

Addio, Jack.

Se qualcuno mi desse del “bipolare”, mi offenderei. Sappiatelo. È così limitante…
Sì, ce l’ho con voi, lettori dei miei stivali. Lettori che, ogni tanto, vi reinventate nel ruolo di scrittori e poi… Poi mi abbandonate, dopo avermi sbattuto come una puttanella da quattro soldi.
Volete la verità? Ve la dico io, la verità. La mia verità.

Sono venuto qui per raccontarmi, e per andare oltre la quotidianità, quella che fa morire una storia, quella che mette tutti d’accordo e andiamo avanti così, perché, in fondo, è bello il quieto vivere.
Sono venuto qui per amore dell’arte, di quell’elettricità che scorre attraverso chilometri di niente, o di etere e che però, questo lo ammetto, non può appagare per sempre. Ma nel momento in cui appaga…

E invece che cosa ho trovato, in voi? Ho trovato la storia di questi ultimi anni, la storia di un governo e di governanti malati.
Ho trovato la fretta, la disperazione, le lamentele, lo sporco e le bugie. Ho trovato l’abbandono, che, scusate tanto, non avrei voluto ritrovare, soprattutto dopo la mia fuga da quel cazzo di posto.
Ecco perché sono stato in silenzio. E l’ho fatto fino a quando non ho capito che avrei dovuto spostarmi, creare un movimento, pensare a me e fanculo agli altri Jack. E tornare qui, a darvi degli ipocriti. Me compreso.

Non c’è amore, nel contatto, c’è solo brama di possedere, di avere, di vincere e di non piangere.
Sapete che cosa vi dico? A me tutto questo non interessa. E non mi interessa squarciare tele, prendere a pugni le persone, o farle vorticare in una danza eterna, commossa e senza inciampi. Non mi interessa più nulla e, dunque, chiedo a qualcuno di farmi morire.
Per sempre. Ve la sentite, teste di cazzo?

[ http://www.fotolog.com/aspetto/ ]

Purtroppo, la password dell’account è stata resettata dagli amministratori di fotolog e, dunque, Jack non potrà più vivere. Mai più. L’hanno ammazzato ancor prima che scrivessi l’ennesima puntata.

Riposo?

La mano fa ancora male, purtroppo. La nocca è ancora lì, timida, che guarda con aria imbarazzata quel cretino che l’ha frantumata. Io.
Il lavoro pesa e le distanze, oh, le distanze pesano ancor di più, soprattutto quando perdo le chiamate. Ma prima o poi riuscirò a riabbracciarti, e fanculo Tim.

Tu, invece, mi scrivi di volermi bene. Io, d’impulso, vorrei scriverti che non te ne voglio, ma nell’aria rimangono comunque contorni sbiaditi che delineano la tua figura. E dio solo sa quanto sia stata preziosa.

In buona sostanza, il versante affettivo è un po’ una catastrofe, ma tant’è.

Una cosa buona, però, c’è: finalmente riesco a dormire, come non succedeva da circa quattro anni.
Non male. Non male.

Tanco del Nomade

Batte una sigaretta, rolla una cartina

È ciò che sto facendo in questo istante, mentre spirali di fumo, di una sigaretta precedente, abbandonano senza fretta il mio palato, la mia lingua e le mie labbra.

Non ho molte storie da raccontare, ma trovo il coraggio di aprire uno scrigno, di estrarre una pipa, e di pensarmi come uno scrittore ch’è ormai arrivato alla frutta, e quasi vede la torta (cit.).

-Non ho mai potuto soffrire ‘sto (cit.), ma poi le persone si offendono, e allora…-

Questo, oggi, è il mio mondo, senza più alcun tipo di aspettativa; con il solito lavoro, le solite facce, le solite beghe e le solite soddisfazioni. E intanto c’è il fumo, mentre il coraggio di muovere ancora alcuni muscoli mi consente di respirare.

Fuori tutto accade anche senza di noi

Non avrei voluto finisse così. Per nulla al mondo. Nonostante tutto, avrei voluto ci fosse un noi, per osservare, compiaciuti, goduti e strafottenti, proprio quello che nel mondo stava accadendo o sarebbe accaduto.

Come in quel posticino, La Torre (che oggi è un barrino per fighetti), dove avevamo osservato coppie stanche e parole disintegrate dal niente:
“Ti prego, dimmi che noi non diventeremo così.”
Te lo promisi, ma poi il male e il mal di vivere e la lontananza. E a quel punto a che cazzo servono le promesse?

Ogni tanto mi chiedo: chissà dove cazzo si trova.
E nel mentre, queste fottute campane. Che Dio l’abbia in gloria (ammesso che possano morire, le campane).

È un attimo poi il tempo scorre più veloce

Prima, seconda, terza (140), e quella che tu definisti voglia di cambiamento.
No, non è voglia di cambiamento; è voglia di imparare a non cadere più, perché ho già imparato a rialzarmi e, sinceramente, è uno sport che non mi diverte più.

Cerca di star bene. Cogli un fiore. Coglilo per te, Marta.

Di ritorno

È passato più di un anno, dall’ultima volta.

Pensavo di poter ritrovare i sapori e le sensazioni descritte qui. E invece niente.
Sono sprofondato, per tre giorni, in una solitudine senza precedenti; una solitudine fatta di pensieri, malesseri e intolleranze d’ogni genere, comprese quelle alimentari.

Avrei voluto disegnare qualcosa sulla sabbia, avrei voluto prendere a calci un pallone, avrei voluto rivivere l’infanzia nel rapporto con i miei nonni. E invece niente.

Per fortuna, adesso, sono qui.