Le nuvole del Truman Show

Vento e venti gradi sui poggi d’intorno. Le nuvole sono lì, ferme, in apparenza, da almeno un paio d’ore.
In altre stanze si parla di ricordi e di letteratura e tutto questo rimanda a qualcosa di surreale.
Mi aspetto, da un momento all’altro, che Ed Harris salti fuori da una nuvola per dirmi che ha creato tutto questo per me.

Allora forzo il mio sguardo miope e mi dico che là in fondo, da qualche parte, ci dev’essere per forza una porticina; ci dev’essere per forza una via di fuga, qualcosa in grado di portarmi al di là di questa presuntuosa perfezione, che qualcuno ha disegnato per non farmi pensare, per farmi credere che questo è il migliore dei mondi possibili, che, al contrario di quanto sto pensando in questo istante, non esistano altre voci ed altre stanze.

Le nuvole del Truman Show

Vento e venti gradi sui poggi d’intorno. Le nuvole sono lì, ferme, in apparenza, da almeno un paio d’ore.
In altre stanze si parla di ricordi e di letteratura e tutto questo rimanda a qualcosa di surreale.
Mi aspetto, da un momento all’altro, che Ed Harris salti fuori da una nuvola per dirmi che ha creato tutto questo per me.

Allora forzo il mio sguardo miope e mi dico che là in fondo, da qualche parte, ci dev’essere per forza una porticina; ci dev’essere per forza una via di fuga, qualcosa in grado di portarmi al di là di questa presuntuosa perfezione, che qualcuno ha disegnato per non farmi pensare, per farmi credere che questo è il migliore dei mondi possibili, che, al contrario di quanto sto pensando in questo istante, non esistano altre voci ed altre stanze.

L’acqua calda, a volte, dà noia.

L’altro giorno leggevo un articolo (di quelli fantasmagorici che si trovano sul “colonnino” di repubblica.it), che parlava della reperibilità dell’uomo al giorno d’oggi.

Il cellulare, dice, fa in modo che l’uomo moderno (insieme alla donna moderna, certamente) sia sempre raggiungibile e non lavori mai otto ore al giorno, ma molte di più.

Leggevo e pensavo “eh, grazie al cazzo” ed anche “avete scoperto l’acqua calda. Però! Appena inventate i rubinetti, fatemi un fischio.”

Così, dopo aver chiuso il drammatico colonnino, ho pensato .oO(Che fo’? Lo linko o non lo linko alla mia capa?).
Ma poi, in tutta onestà, ho pensato che non sarebbe servito a niente.
Perché non c’è cosa che possa servire, non c’è azione collaterale che possa colpire un bersaglio.
L’allusione, ormai, è cosa antica ed il suo sapore va scemando, perso, ormai, come il retrogusto di una grappa da pochi soldi.

Sono tornato ai miei bit, pensando che, la stessa sera, avrei dovuto cimentarmi nell’ennesimo intervento notturno.

Tutto questo per dire che il colonnino di repubblica.it mi ha scassato la minchia e per dire che, dopo essermi ricordato dell’intervento notturno, ho pensato intensamente all’estate.

All’estate passata ed a quella che verrà.
Ai tempi che cambiano e a brani di sceneggiature di film che, invece, non cambiano mai. Sicuramente non nei contenuti.

Pensate al primo uomo incravattato che sorseggia un caffè (caffè della sua prima colazione-light) e legge la prima pagina di un giornale.
Pensate a quell’uomo e seguitelo, mentre esce dalla porta di casa correndo, perché è in ritardo.
Guardatelo, poveraccio, mentre saluta con un bacio la moglie. Anch’ella trafelata.

Pensate, insomma, ad un Accorsi, in un qualsiasi cazzo di film riguardante una qualsiasi crisi post-adolescenziale.

Adesso Accorsi, di corsa, sarà sempre incravattato, starà sempre sorseggiando la sua tazza di caffè, magari guardando un ipad, mentre il telefono cellulare sta squillando. E starà uscendo di casa correndo. Sempre perché è in ritardo.

La moglie, nell’ultimo script, non c’è.
E la sostanza è questa: quelli del colonnino di repubblica.it e gli sceneggiatori dei film non hanno inventato o scoperto nulla. Semmai si sono accorti anche loro, troppo tardi, che le cose sono cambiate.
Parecchio cambiate.

Galaxie

Stavo pensando, più o meno seriamente, a tutta una serie di cose che riguardano il nostro paese.
Ci stavo pensando quando, ad un tratto, su Big R Radio arriva Galaxie dei Blind Melon.
Il sorriso è scattato in automatico. I Blind Melon mi ricordano molti viaggi. E poi, insomma, mi sembra sia capitata a fagiuolo.
A che cosa stavo pensando? :)

Is this the place that I want to be
Is it you who I want to see
Holdin’ on, hold it high, show me everything
And you’re leavin’ me, yeah you’re leavin’ me
you’re leaving me with a hated identity

No.

Venticinque anni fa, a casa di Roberto.
Alessandro (il fratello maggiore, più grande di noi di una decina d’anni) aveva iniziato a leggere un fumetto. Un fumetto edito da Bonelli.

Fu così che, di nascosto, presi tra le mani questo albo.
Lo lessi tutto d’un fiato.
Non immaginavo, nemmeno lontanamente, che Dylan Dog, fino ad oggi, avrebbe accompagnato la mia vita a suon di mostri, donne e battute.
Non immaginavo che, un giorno, avrei incontrato, tra gli altri, Brindisi, Ruju e la Barbato.
Non immaginavo che, un giorno, qualcuno mi avrebbe costretto a smettere di seguirlo, perché non immaginavo che sarebbe diventata un’ossessione.
Non immaginavo che, più tardi, il mio rapporto con quel fumetto sarebbe notevolmente mutato e che sarebbe rinata un’antica passione. Più sana, però.
Non immaginavo niente di tutto questo.

Oggi, invece, non riesco ad immaginare una cosa più brutta di questa.

Che peccato, Dailan.

Essere inculcati

Caro Presidente,

forse mai leggerà queste parole e di questo mi dispiaccio sinceramente.
So, tuttavia, che altri le leggeranno e che, magari, per via dei sei gradi di separazione, un giorno arriveranno ai suoi occhi.

Caro Presidente, credo di essere ciò che sono grazie ai miei genitori, prima di tutto, ma anche grazie agli ottimi insegnanti che hanno segnato, profondamente, il mio percorso scolastico.
Credo, veramente, di dover ringraziare chi mi ha fatto amare Dante, i numeri, il pensiero dei filosofi ed i miei amati autori latini.

Mi fanno notare, inter alia, che le sue parole sono offensive non solo nei confronti degli insegnanti, ma nei confronti degli stessi genitori: sembra che, comunque, qualcuno debba inculcare qualcosa.

Caro Presidente, sono un ragazzo che lavora duramente, che paga le tasse, che non conosce giorni di riposo, per il lavoro che svolge.
Sono un ragazzo stanco delle sue uscite basse e ritengo d’essere onesto, nel momento in cui le dico che rappresento, in primis, me stesso, senza appellarmi alla retorica del “e come me, tanti altri”.

Lei offende, perché pensa, forse, di poterlo fare liberamente. Forse pensa che il suo incarico derivi dalla voglia della “maggior parte degli italiani” (ed anche questo non è vero) di poter liberamente rubare, fottere, sfottere, comprare.

Non sono uno di loro e, se non lo sono, è anche grazie a chi, al mattino, faceva un tuffo nel passato, insieme a me ed ai miei compagni, per descriverci, ad esempio, il bieco servilismo e la codardia di Don Abbondio.

Ruggero.

P.s.
Forza, Professo’!

Essere tempestivi

Oggi ho messo a nanna uno dei domini di cui disponiamo e ho attivato diverse caselle di posta elettronica su un nuovo dominio.
Naturalmente, ho avvisato i clienti; ho scritto loro che i vecchi indirizzi non saranno più disponibili “a partire da oggi pomeriggio”.
Una cliente mi ha fatto notare “il largo anticipo”.

Rug: “Vedi, Roby, se ve l’avessi scritto una settimana fa, voi avreste continuato ad inviare richieste di supporto ai vecchi indirizzi, ad libitum. Così, invece, sarete costretti a gestire, in modo tempestivo, messaggi simili a (reason: 553 5.3.0 … pippo@x.it No Such User) e, di conseguenza, ad adattarvi immediatamente al cambiamento”.

Scrivo questo per tre motivi:
1) mi piace la parola “dominio”. Dominio, dominio, dominio e, se non fosse chiaro, dominio (mai quanto “transumanza”).
2) pippo è il mio utente preferito. Da sempre.
3) Non è vero che sono dispotico.